Lo stile denso e bello, la visione penetrante dell'artista, la capacità di osservazione originale e audace, tutto conferisce al romanzo una importanza eccezionale. Se ne parlo qui, non è perché il libro sia pieno di talento - anche se questo non è affatto un elemento trascurabile - ma perché costituisce una fonte di insegnamenti politici di grandissimo valore. Questi insegnamenti ci vengono forse da Marlaux? No, derivano dal racconto stesso, all'insaputa dell'autore, e depongono contro di lui - il che fa onore all'osservatore e all'artista, ma non al rivoluzionario. Tuttavia, siamo in diritto di apprezzare Malraux anche da questo punto di vista: direttamente e soprattutto tramite Garin, che è il suo alter ego, l'autore non risparmia i giudizi sulla rivoluzione. Il libro si definisce romanzo. In realtà, ci troviamo di fronte alla cronaca romanzata della rivoluzione cinese nella prima fase, quella di Canton. La cronaca non è completa. Il vigore sociale a volte fa difetto. In compenso, passano dinanzi al lettore non solo episodi luminosi della rivoluzione ma anche silhouettes nettamente stagliate che si imprimono nella memoria come simboli sociali. Con piccoli tocchi di colore, alla maniera dei pointilisters, Malraux traccia un quadro indimenticabile dello sciopero generale, non certo come è in basso, come lo si fa, ma come lo si vede dall'alto: gli europei non hanno il pranzo; gli europei soffocano dal caldo - i cinesi hanno cessato il lavoro nelle cucine e non fanno più funzionare i ventilatori.
Non si tratta di un rimprovero rivolto all'autore: lo straniero-artista non avrebbe probabilmente potuto affrontare l'argomento in modo diverso. Ma un rimprovero, e grave, si può farglielo: manca nel libro una naturale affinità tra lo scrittore, nonostante tutto quello che sa e capisce, e la sua eroina, la rivoluzione. La simpatia, e simpatia attiva, dell'autore per la Cina insorta è fuori discussione. Ma è corrosa dagli eccessi di individualismo e di capriccio estetico. Leggendo il libro con attenzione costante, si prova a volte un senso di dispetto, cogliendo nel tono del racconto una nota di ironia protettrice nei confronti dei barbari capaci di entusiasmo. Che la Cina sia arretrata, che certe delle sue manifestazioni politiche abbiano un carattere primitivo, nessuno pretende lo si passi sotto silenzio. Ma è necessaria una giusta prospettiva che collochi ogni cosa a suo posto. Gli avvenimenti cinesi, sul cui sfondo si svolge il "romanzo" di Malraux, sono incomparabilmente più importanti, per i destini futuri della cultura umana, del chiasso vano e miserevole dei parlamenti europei e delle montagne di prodotti letterari delle civiltà stagnanti. Malraux sembra avere una certa timidezza nel rendersene conto. Nel romanzo ci sono pagine belle per la loro intensità, che mostrano come l'odio rivoluzionario nasca dall'oppressione, dall'ignoranza, dalla schiavitù e si tempri come l'acciaio. Queste pagine sarebbero entrate nell'antologia della rivoluzione, se Malraux avesse affrontato le masse popolari con maggiore libertà e audacia, se non avesse introdotto nel suo studio una lieve nota di superiorità snobistica, che dà l'impressione che egli si voglia scusare per i suoi temporanei rapporti con l'insurrezione del popolo cinese, forse sia nei confronti di se stesso, sia nei confronti dei mandarini accademici francesi e dei trafficanti d'oppio spirituale. * * * Borodin rappresenta il Komintern e occupa il posto di consigliere presso il governo di Canton. Garin, il favorito dell'autore, è incaricato della propaganda. Tutto il lavoro si svolge nel quadro del Kuomintang. Borodin, Garin, il "generale" russo Gallen, il francese Gérard, il tedesco Klein costituiscono una originale burocrazia della rivoluzione che si colloca al di sopra del popolo insorto e conduce la propria "politica rivoluzionaria" invece di condurre la politica della rivoluzione. Le organizzazioni locali del Kuomintang sono definite come segue: "La riunione di alcuni fanatici, evidentemente coraggiosi, di alcuni ricconi che sono in cerca di considerazione o di sicurezza, di molti studenti, di coolies..." (pp. 29 e 30). I borghesi non solo entrano in ogni organizzazione, ma dirigono completamente il partito. I comunisti si rimettono al Kuomintang. Si persuadono gli operai e i contadini a non compiere nessun atto che possa respingere gli amici venuti dalla borghesia. "Queste sono le società che noi controlliamo (più o meno, del resto, non fatevi illusioni)..." (p. 29). Ammissione edificante! La burocrazia del Komintern ha cercato di "controllare" la lotta di classe in Cina, come la internazionale bancaria controlla la vita economica dei paesi arretrati. Ma non si può comandare e una rivoluzione. Si può solo dare espressione politica alle sue forze intrinseche. Si tratta di sapere a quale di queste forze si leghi la propria sorte. "I coolies stanno scoprendo di esistere, semplicemente di esistere..." (p. 3I). È ben detto. Ma per sentire di esistere, i coolies, operai industriali e contadini, devono rovesciare coloro che impediscono loro di esistere. La dominazione straniera è indissolubilmente legata al giogo interno. I coolies devono non solo cacciare i Baldwin o i MacDonald, ma anche rovesciare la classe dirigente. L'una cosa non può essere fatta senza l'altra. Così il risveglio della personalità umana tra le masse cinesi - che superano di dieci volte la popolazione della Francia - si fonde immediatamente nella lava della rivoluzione sociale. Che spettacolo grandioso! Ma a questo punto entra in scena Borodin e dichiara: "In questa rivoluzione gli operai devono fare i coolies della borghesia" [1]. L'asservimento sociale di cui vuole liberarsi, il proletariato lo vede trasferito sul piano politico. A chi si deve questa perfida operazione? Alla burocrazia del Komintern.
Cercando di "controllare" il Kuomintang, la burocrazia, di fatto, aiuta il borghese alla ricerca di "considerazione e sicurezza" ad asservire i coolies che vogliono esistere. Borodin, che resta sempre in secondo piano, è caratterizzato nel romanzo come un uomo "di azione", come un "rivoluzionario di professione", come la vivente incarnazione del Bolscevismo in terra cinese. Niente di più erroneo! Ecco la biografia politica di Borodin: nel 1903, a diciannove anni, egli emigrava in America; nel 1918 ritornava a Mosca, dove, grazie alla conoscenza dell'inglese, "lavorava per il collegamento con i partiti esteri"; nel 1922 era arrestato a Glasgow; successivamente, veniva inviato in Cina quale rappresentante del Komintern. Lasciata la Russia prima della prima rivoluzione e ritornatovi dopo la terza, Borodin appare come un compiuto rappresentante di quella burocrazia di Stato e di partito che riconobbe la rivoluzione solo dopo la vittoria. Quando si tratta di giovani, talvolta è semplicemente una questione di date. Per uomini di quaranta-cinquant'anni è già una caratteristica politica. Se Borodin si è brillantemente associato in Russia alla rivoluzione vittoriosa, non significa minimamente che sia chiamato ad assicurare la vittoria della rivoluzione in Cina. Gli uomini di questo tipo assimilano senza fatica i gesti e le intonazioni dei "rivoluzionari di professione". Molti di essi, con la tinta che li protegge, ingannano non solo gli altri, ma anche se stessi. Il più delle volte l'audacia inflessibile del bolscevico si trasforma in loro nel cinismo del funzionario disposto a tutto. Ah! avere un mandato del Comitato centrale! Questo sacrosanto salvacondotto Borodin l'aveva sempre in tasca. Garin non è un funzionario, è più originale di Borodin e forse anche più vicino al tipo del rivoluzionario. Ma gli manca la formazione indispensabile: dilettante e vedetta del momento, nei grandi avvenimenti si confonde disperatamente e lo si vede a ogni piè sospinto. Sulle parole d'ordine della rivoluzione cinese, si pronuncia nei termini seguenti: "...chiacchiere democratiche, diritti del popolo ecc." (p. 36). Ciò ha un suono radicale, ma si tratta di un falso radicalismo. Le parole d'ordine democratiche sono chiacchiere spregevoli in bocca a Poincaré, a Herriot, a Léon Blum, che derubano la Francia e fanno i carcerieri dell'Indocina, dell'Algeria e del Marocco. Ma quando i cinesi insorgono in nome dei "diritti del popolo", non si tratta affatto di chiacchiere, come non erano chiacchiere le parole d'ordine della rivoluzione francese del xviii secolo. A Hong Kong, ai tempi dello sciopero, i rapaci britannici minacciavano di ristabilire i castighi corporali. "Diritti dell'uomo e del cittadino" significa a Hong Kong diritto dei cinesi a non essere fustigati con la frusta britannica. Smascherare il marciume democratico degli imperialisti significa servire la rivoluzione; definire chiacchiere la parola d'ordine dell'insurrezione degli oppressi significa aiutare inconsciamente gli imperialisti. Una buona iniezione di marxismo avrebbe potuto preservare l'autore da errori fatali di questo genere. Ma, in genere, Garin considera la teoria rivoluzionaria una "congerie dottrinaria". È, guardate un po', uno di quelli che pensano che la rivoluzione non sia che "un determinato stato di cose". Non è forse straordinario? Ma proprio perché la rivoluzione è un "determinato stato di cose" - cioè una fase dello sviluppo della società condizionata da cause oggettive e sottoposte a determinate leggi - uno spirito scientifico può prevedere la tendenza generale del processo. Solo lo studio dell'anatomia della società e della sua fisiologia consente di influire sul corso degli avvenimenti valendosi di previsioni scientifiche e non di congetture dilettantesche. Il rivoluzionario che "disprezza" la teoria rivoluzionaria non vale di più del guaritore che disprezza una scienza medica che non conosce o dell'ingegnere che respinge la tecnologia. Gli uomini, che cercano di rettificare senza l'ausilio della scienza uno "stato di cose" che si chiama malattia, sono qualificati stregoni o ciarlatani e sono perseguiti dalla legge. Se fosse esistito un tribunale per giudicare gli stregoni della rivoluzione, è probabile che Borodin sarebbe stato severamente condannato al pari dei suoi aspiratori moscoviti. Temo che neppure Garin sarebbe uscito indenne da tutta la faccenda. Due figure si contrappongono nel romanzo come i due poli della rivoluzione nazionale: il vecchio Cieng-Dai, ispiratore dell'ala destra del Kuomíntang - profeta e santo della borghesia - e Hong, giovane capo dei terroristi. Entrambi sono raffigurati con grande forza. Cieng-Dai rappresenta la vecchia cultura cinese tradotta nel linguaggio della cultura europea; con il suo ricercato abbigliamento, egli "nobilita" gli interessi di tutte le classi dirigenti della Cina. Certo, Cieng-Dai vuole la liberazione nazionale, ma teme più le masse che gli imperialisti; e odia la rivoluzione più del giogo che grava sulla nazione. Se marcia alla testa della rivoluzione, è per calmarla, domarla, esaurirla. Conduce una politica di resistenza su due fronti, contro l'imperialismo e contro la rivoluzione, la politica di Gandhi in India, la politica che, in determinate epoche e in questa o in quella forma, è stata condotta dalla borghesia di tutte le longitudini e di tutte le latitudini. La resistenza passiva nasce dalla tendenza della borghesia e canalizzare e a catturare i movimenti di massa. Quando Garin afferma che l'influenza di Cieng-Dai si eleva al di sopra della politica, non resta che scrollare le spalle. La politica mascherata del "giusto", in Cina come in India, esprime in forma sublimata e astrattamente moralistica gli interessi conservatori dei possidenti. Il disinteresse personale di Cieng-Dai non è affatto in contraddizione con la sua funzione politica: gli sfruttatori hanno bisogno di "giusti", come la gerarchia ecclesiastica ha bisogno di santi. Chi gravita attorno a Cieng-Dai? Il romanzo risponde con precisione meritoria: un mondo di "vecchi mandarini, di contrabbandieri d'oppio o di fotografi, di letterati divenuti mercanti di biciclette, di avvocati laureati a Parigi, di intellettuali di tutti i tipi" (p. 125). Dietro di loro si trova una solida borghesia, legata all'Inghilterra, che arma il generale Tang contro la rivoluzione. In attesa della vittoria, Tang si appresta a fare di Cieng-Dai il capo del governo. L'uno e l'altro, però, sia Cieng-Dai sia Tang, continuano a essere membri del Kuomintang al cui servizio sono Borodin e Garin. Quando Tang fa attaccare la città dai suoi eserciti e si prepara a sgozzare i rivoluzionari cominciando da Borodin e da Garin, suoi compagni di partito, costoro, con l'aiuto di Hong, mobilitano e armano i senza-lavoro. Ma dopo la vittoria su Tang, i capi cercano di non mutare per nulla la situazione preesistente. Non possono rompere il duplice legame con Cieng-Dai perché non hanno fiducia negli operai, nei coolies, nelle masse rivoluzionarie. Sono anch'essi contaminati dai pregiudizi di Cieng-Dai di cui sono l'arma preferita. Per non respingere la borghesia, devono entrare in conflitto con Hong. Chi è Hong e da dove è uscito fuori? - "Dalla miseria" (p. 41). È di quelli che fanno la rivoluzione e non di quelli che vi si associano dopo la vittoria. Concepita l'idea di uccidere il governatore inglese di Hong Kong, Hong si preoccupa di una cosa sola: "Quando sarò condannato alla pena capitale, bisognerà dire ai giovani di imitarmi" (p. 40). A Hong bisogna dare un programma chiaro: fare insorgere gli operai, unirli, armarli e contrapporli a Cieng-Dai, loro nemico. Ma la burocrazia del Komintern vuole l'amicizia di Cieng-Dai, respinge Hong e lo esaspera. Hong uccide banchieri e mercanti, gli stessi che "sostengono il Kuomintang". Hong uccide i missionari: "coloro che insegnano agli uomini a sopportare la miseria, devono essere puniti, siano preti cristiani o altro..." (p. 174).
Se Hong non trova la via giusta, la colpa è di Borodin e di Garin che hanno messo la rivoluzione a rimorchio dei banchieri e dei mercanti. Hong è espressione della massa che ormai si è ridestata, ma non si è ancora sfregata gli occhi né lavata le mani. Con la pistola e con il pugnale cerca di agire per la massa paralizzata dagli agenti del Komintern. Questa è la verità sulla rivoluzione cinese, senza veli. * * * Tuttavia, il governo di Canton "oscilla cercando di non cadere tra Garin e Borodin, che controllano polizia e sindacati, e Cieng-Dai che non controlla assolutamente nulla e pur sempre esiste" (p. 72). Abbiamo un quadro quasi completo del dualismo di poteri. I rappresentanti del Komintern hanno dalla parte loro i sindacati operai di Canton, la polizia, la scuola dei cadetti di Wampoa, la simpatia delle masse, l'aiuto dell'Unione Sovietica. Cieng-Dai ha un'"autorità morale", cioè il prestigio dei possidenti spaventati mortalmente. Gli amici di Cieng-Dai sono in un governo impotente, benevolmente appoggiato dai conciliatori. Ma non è questo il regime della rivoluzione di febbraio, il regime di Kerenskij, con la sola differenza che la parte dei menscevichi spetta a pseudobolscevichi?! Borodin non se ne avvede minimamente, perché è truccato da bolscevico e prende sul serio il suo trucco. L'idea fondamentale di Garin e di Borodin è di impedire alle navi cinesi e straniere in rotta verso il porto di Canton di fare scalo a Hong Kong. Questi uomini, che si considerano rivoluzionari realisti, sperano di spezzare la dominazione inglese nella Cina meridionale con il blocco commerciale. D'altronde non ritengono affatto necessario rovesciare prima il governo della borghesia di Canton che attende solo il momento opportuno per consegnare la rivoluzione all'Inghilterra. No, Borodin e Garin battono ogni giorno alla porta del "governo" e con il cappello in mano, chiedono che venga promulgato il decreto salvatore. Qualcuno dei loro ricorda a Garin che, in fondo, il governo è fantomatico. Garin non si smarrisce.
"Fantomatico o no - risponde - che cammini, perché abbiamo bisogno di lui". Così il pope ha bisogno delle reliquie che egli stesso fabbrica con la cera e con il cotone. Che cosa si nasconde dietro una tale politica che esaurisce e avvilisce la rivoluzione? La considerazione di un rivoluzionario della piccola borghesia per un solido borghese conservatore. Per questo, il più rosso degli estremisti francesi è sempre pronto a cadere in ginocchio di fronte a Poincaré. Ma forse le masse di Canton non sono ancora mature per rovesciare il governo della borghesia? Da tutta questa atmosfera ci si forma la convinzione che, senza l'opposizione del Komintern, il governo fantasma sarebbe stato rovesciato da tempo sotto la pressione delle masse. Ammettiamo che gli operai di Canton siano ancora troppo deboli per istaurare il loro potere. Qual è, in generale, il punto debole delle masse? La impreparazione a succedere agli sfruttatori. In questo caso, primo dovere dei rivoluzionari è di aiutare gli operai a liberarsi da una servile fiducia. Invece, l'opera compiuta dalla burocrazia del Komintern è stata diametralmente opposta. La burocrazia ha inculcato alle masse la nozione della necessità di sottomettersi alla borghesia e ha dichiarato che i nemici della borghesia erano loro nemici. Non respingere Cieng-Dai! Ma se Cieng-Dai comunque si allontana, il che è inevitabile, ciò non significa che Borodin e Garin si liberino dal loro gratuito vassallaggio nei confronti della borghesia. Scelgono solo come nuovo oggetto del loro giuoco di prestigio Chiang Kai-shek, figlio della stessa classe e fratello minore di Cieng-Dai. Comandante della scuola militare di Wampoa fondata dai bolscevichi, Chiang Kai-shek non si limita a una opposizione passiva ed è pronto a far ricorso alla violenza sanguinosa, non alla maniera plebea - quella delle masse - ma alla maniera militare e solo entro limiti che consentano alla borghesia di mantenere un potere illimitato sull'esercito. Armando i loro nemici, Borodin e Garin disarmano e respingono i loro amici. Così preparano la catastrofe. Ma non sopravvalutiamo forse l'influenza sugli avvenimenti della burocrazia rivoluzionaria? No. La burocrazia si è dimostrata più forte di quanto essa stessa non pensasse, almeno per il male. I coolies, che sono soltanto all'inizio della loro esistenza politica, hanno bisogno di una direzione audace. Hong ha bisogno di un programma audace. La rivoluzione ha bisogno dell'energia di milioni di uomini che si ridestano. Ma Borodin e i suoi burocrati hanno bisogno di Cieng-Dai e di Chiang Kai-shek. Soffocano Hong e impediscono all'operaio di alzare la testa. In pochi mesi soffocheranno la insurrezione agraria per non respingere tutti i borghesi gallonati dell'esercito. La loro forza è di rappresentare l'ottobre russo. il Bolscevismo, l'Internazionale Comunista. Usurpati l'autorità, la bandiera e gli aiuti della più grande delle rivoluzioni, la burocrazia sbarra la strada a un'altra rivoluzione che pure aveva la possibilità di essere grande. Il dialogo tra Borodin e Hong (pp. 181-82) è la più terribile requisitoria contro Borodin e i suoi aspiratori moscoviti. Hong, come sempre, è alla ricerca di azioni decisive.
Esige la punizione dei borghesi più in vista. Borodin sa trovare una sola risposta: "Non bisogna toccare quelli che pagano". "La rivoluzione non è così semplice", afferma per parte sua Garin. "Rivoluzione, vuol dire pagare l'esercito", conclude Borodin. Questi aforismi contengono tutti gli elementi del nodo con cui è stata strangolata la rivoluzione cinese. Borodin proteggeva la borghesia che, in cambio, faceva versamenti per la "rivoluzione". Il denaro andava all'esercito di Chiang Kai-shek. L'esercito di Chiang Kai-shek sterminava il proletariato e liquidava la rivoluzione. Era proprio impossibile prevederlo? E di fatto la cosa non è stata forse prevista? La borghesia paga volentieri solo un esercito che la serva contro il popolo. L'esercito della rivoluzione non attende gratifiche: le fa pagare. Questa è la dittatura rivoluzionaria. Hong interviene con successo nelle riunioni operaie e tuona contro i "russi" che mandano in rovina la rivoluzione. Neppure le vie di Hong portano all'obiettivo, ma contro Borodin egli ha ragione. "I capi dei T'aip'ing avevano forse consiglieri russi? E quelli dei boxers?" (p. i89). Se la rivoluzione cinese del 1924-27 fosse stata lasciata a se stessa, forse non sarebbe giunta immediatamente alla vittoria, ma non si sarebbe fatta il karakiri, non avrebbe conosciuto capitolazioni vergognose e avrebbe educato quadri rivoluzionari. Tra il dualismo di poteri di Canton e quello di Pietrogrado c'è la tragica differenza che in Cina, di fatto, il Bolscevismo non è esistito: con la qualifica di trotskysmo è stato proclamato teoria controrivoluzíonaria e perseguitato con tutti i mezzi della calunnia e della repressione. Dove Kerenskij non era riuscito nelle giornate di luglio, è riuscito Stalin in Cina dieci anni dopo. Borodin e "tutti i bolscevichi della sua generazione - ci dice Garin - hanno ricevuto l'impronta della lotta contro gli anarchici". Questa osservazione era necessaria all'autore per preparare il lettore alla lotta di Borodin contro il gruppo di Hong. Storicamente è falsa: l'anarchismo non ha potuto alzare la testa in Russia non perché i bolscevichi abbiano lottato con successo contro di esso, ma perché in precedenza gli avevano scavato la terra sotto i piedi. L'anarchismo, quando non rimane entro le quattro pareti dei caffè di intellettuali o delle redazioni di giornali, ma penetra più in profondità, è espressione di una psicologia di disperazione diffusa tra le masse e costituisce una punizione politica per gli inganni della democrazia e i tradimenti dell'opportunismo. In Russia l'audacia del Bolscevismo nel porre i problemi rivoluzionari e nell'indicarne le soluzioni, non ha lasciato spazio per lo sviluppo dell'anarchismo. Ma, se l'analisi storica di Malraux non è esatta, il suo racconto mostra invece mirabilmente come in Cina la politica opportunistica di Stalin e di Borodin abbia preparato il terreno al terrorismo anarchico. Spinto dalla logica della sua politica, Borodin acconsente all'adozione di un decreto contro i terroristi. I rivoluzionari risoluti, spinti sulla via dell'avventura dai crimini dei dirigenti moscoviti, la borghesia di Canton li dichiara fuori legge con la benedizione del Komintem. Rispondono con atti di terrorismo contro i burocrati pseudorivoluzionari che proteggono la borghesia che paga. Borodin e Garin catturano i terroristi e li sterminano, difendendo non più i borghesi, ma le loro teste. Così la politica di accomodamenti giunge fatalmente all'ultimo grado di fellonia.
Il libro si intitola Les conquérants. Nello spirito dell'autore questo titolo a doppio senso, in cui la rivoluzione assume una tinta imperialistica, si riferisce ai bolscevichi russi o più esattamente a una loro frazione. Les conquérants? Le masse cinesi si sono sollevate in una insurrezione rivoluzionaria, sotto l'influenza incontestabile della rivoluzione d'ottobre come esempio e del Bolscevismo come bandiera. Ma "les conquérants" non hanno conquistato nulla. Al contrario, hanno consegnato tutto al nemico. Se la rivoluzione russa ha determinato la rivoluzione cinese, gli epigoni russi l'hanno soffocata. Malraux non arriva a queste conclusioni. Non sembra neppure pensarci. Ma le conclusioni balzano fuori egualmente con chiarezza dal suo notevole libro. Prinkipo, 9 febbraio 1931.