giovedì 20 maggio 2021

Proposte per una nuova politica del PCL nella fase attuale


Il governo Draghi a più di tre mesi dal suo insediamento non ha ancora sciolto il nodo del Recovery Plan, mentre la popolazione sta soffrendo più che mai la crisi pandemica innescata un anno fa dalla comparsa del Covid e giunta ora a un punto di non ritorno. Draghi sicuramente ha messo bene in chiaro la sua politica, e seppur la genesi è simile a quella del governo Monti, sia i contesti che l’indirizzo politico sono diversi.


Compito arduo si prospetta per Draghi, ovvero quello di avviare una fase di stabilità politica. Il fatto che la crisi pandemica imporrebbe, in questo caso, di far circolare moneta e non misure repressive (austerity) ne sono un’indicazione. Il che non vuol dire che arriveranno soldi al proletariato, a parte le solite briciole assistenziali magari in misura maggiore. Questo è quello che lascia intendere la stampa borghese per invitare tutte le forze sociali, burocrazie sindacali in primis, ad abbracciare calorosamente l’unità nazionale. I soldi arriveranno ancor più copiosamente alla borghesia, rimandando a un secondo tempo, verosimilmente al prossimo governo e quindi alle prossime elezioni, le grane di un debito pubblico che andrà a crescere.

Il governo avrà il sostegno economico, di non poco conto, dello strumento RRF (Recovery and Resilience Facility). Il fatto che l’Europa e la borghesia italiana chiedano un investimento “sano” e che il denaro venga distribuito in modo funzionale al capitale rappresenta il canovaccio in cui si muoverà il Premier Draghi. La possibilità che il futuro economico del paese sarà caratterizzato da misure in deficit in modo maggiore rispetto agli anni passati è più di una semplice probabilità. Insomma si prospetta uno scenario inverso rispetto a quello di Monti, ovvero nessuna immediata politica “lacrime e sangue”, ma una politica del debito con alimentazione di denaro.

«Trattandosi di un governo che farà investimenti e spese, e non austerità», Goldman Sachs ritiene che l’esecutivo Draghi si reggerà «su basi più solide rispetto a quelle di qualsiasi altro governo tecnico che lo ha preceduto nel recente passato».

Naturalmente per fare questo Draghi avrà bisogno di “riforme strutturali di cui l’Italia ha bisogno per facilitare l‘allocazione e l’utilizzo dei fondi europei”, quindi si procederà ancora sulla strada della compressione dei diritti per il mondo del lavoro che saranno sacrificati in nome della crisi per permettere un “miglioramento” del sistema sanitario italiano.

La realtà per il mondo del lavoro e per la povera gente sarà ancora più dura. Questa alleanza trasversale dei partiti non fa che aumentare il peso dei padroni e del grande capitale. Questo governo, in stretta sintonia con la BCE, avrà il compito di far accettare una serie di misure liberali in nome della pandemia, comprimendo i diritti della povera gente. Non avrà un minimo di resistenza da parte delle organizzazioni operaie.

La classe operaia negli ultimi decenni ha subito e vissuto il mercimonio ideologico da parte delle loro rappresentanze politiche e sindacali (PRC, CGIL ecc.) sempre più prone alla politica del compromesso in cambio della sopravvivenza del proprio apparato (che, tra l’altro, non sempre è riuscito). Il fallimento del gruppo dirigente della sinistra ha creato un cortocircuito politico nella propria base di riferimento favorendo l’ascesa, da prospettive diverse, del grillismo (come partito antisistemico) e del salvinismo (lasciando terreno libero al proliferare del populismo becero). Sul versante sindacale, la CGIL invece di chiamare alla lotta il mondo del lavoro contro il massacro operato da Renzi, si è genuflessa ad esso, seppellendo in alcuni casi anche la dignità.

In questo contesto, di fronte a questo governo reazionario, la risposta della sinistra e della sinistra rivoluzionaria deve essere chiara e all’altezza dei compiti, partendo dal rilancio di un ampio fronte delle sinistre politiche, sindacali e di movimento in opposizione al governo Draghi. La politica tradizionale, il vecchio gioco di ruolo del ‘bravo rivoluzionario’, deve essere messo da parte e definitivamente archiviato. Le forme organizzate, di fronte unitario, atte puramente a delimitare e a mettere steccati ideologici devono essere abbandonate e sostituite da un reale fronte unitario che comprenda tutte le forze della sinistra che si oppongono al governo delle Banche.

Ladini e la CGIL di fronte a questo ennesimo salasso di diritti e turbo-liberismo non riescono a prenderne atto e agire di conseguenza (almeno ora), sono accecati dalla voglia di concertazione che nelle forme (zero nella sostanza) Draghi pare concedergli. La sinistra di opposizione a questo governo deve lavorare per uno sciopero generale, va avanzata e proposta un'azione di massa ininterrotta, con l'obiettivo di chiudere nel caveau Draghi e suoi sgherri politici.

Se la Cgil e la burocrazia non seguirà, come altamente probabile, questa politica, la sinistra ha il dovere di andare avanti comunque con chi è della partita. In più si deve far promotrice di una grande assemblea nazionale delle forze di opposizione di classe e stilare una piattaforma di lotta generale che dia una prospettiva alla mobilitazione di massa.

Dandoci come obiettivo quello di tentare di penetrare non solo nei settori di avanguardia ma anche nelle aziende a noi più vicine per poter cercare di risvegliare le coscienze di quei lavoratori e lavoratrici che ancora credono e sperano di salvarsi dal braccio armato della crisi.

È di fondamentale importanza ritornare a presidiare i cancelli delle fabbriche per cercare di rilanciare una delle principali rivendicazione della lotta operaia e cioè la nazionalizzazione delle aziende che licenziano e chiudono sotto il controllo dei lavoratori senza indennizzo ai grandi gruppi del capitale per far capire che il padrone ha bisogno dei lavoratori, ai lavoratori invece il padrone non serve. Tutto questo in un quadro unitario a partire dalla necessità e dalle tante opportunità che può rappresentare, in questo contesto storico-politico, un coordinamento organizzato di forze che si richiamano alla rivoluzione proletaria.


UNIRE I RIVOLUZIONARI UNA NUOVA VIA POLITICA

Il compito storico immediato della classe operaia consiste quindi nello strappare questi apparati dalle mani delle classi dirigenti, nell’infrangerli, nel distruggerli, e nel sostituirli con nuovi organi di potere proletari. Nello stesso tempo, lo stato maggiore rivoluzionario della classe operaia è straordinariamente interessato ad avere i suoi portavoce nelle istituzioni parlamentari della borghesia per facilitare questo compito di distruzione. Ne risulta con estrema chiarezza la differenza radicale fra la tattica del comunista che entra nel parlamento con obiettivi rivoluzionari e la tattica del parlamentare socialista. Questi parte dal presupposto di una relativa stabilità, di una durata indefinita del regime attuale, si pone il compito di ottenere con ogni mezzo delle riforme ed è interessato a che ogni conquista delle masse sia da queste considerata un merito del parlamentarismo socialista (Turati, Longuet, ecc) [1].

Il compito dei leninisti è partecipare, salvo in una situazione rivoluzionaria, alle elezioni borghesi, utilizzando tale tribuna per le rivendicazioni della classe operaia. Su questo punto le organizzazioni rivoluzionari serie non possono esimersi. Chiudersi dietro l’inutilità delle elezioni borghesi da parte dei comunisti spesso cela la propria incapacità nell’incidere nelle dinamiche politiche e/o il proprio settarismo misto ad autoconservazione (da Dungeon of Dragon della politica marxista rivoluzionaria).

Lenin sul tema è stato molto chiaro e il suo metodo, il metodo del bolscevismo, non ammette distorsioni come quando alla V conferenza del PSDR votò con gran parte dei menscevichi sull’uso della tribuna parlamentare (uno delle rarissime volte che Lenin si trovò in accordo con i menscevichi).

«I comunisti, [...] denunciano e rivelano agli operai e alle masse lavoratrici la pura e semplice verità: di fatto, la repubblica democratica, l'Assemblea costituente, il suffragio universale, ecc. sono la dittatura della borghesia, e per emancipare il lavoro dall'oppressione del capitale non c'è altra via che la sostituzione di questa dittatura con la dittatura del proletariato. Solo la dittatura del proletariato può emancipare l'umanità dall'oppressione del capitale, dalla menzogna, dalla falsità, dall'ipocrisia della democrazia borghese, che è la democrazia per i ricchi, e instaurare la democrazia per i poveri, cioè rendere effettivamente accessibili agli operai e ai contadini poveri i benefici della democrazia, che restano oggi (pesino nella repubblica - borghese - più democratica) inaccessibili di fatto alla stragrande maggioranza dei lavoratori» [2].

La lotta sull’utilizzo della tribuna elettorale non è importante solamente come puntualizzazione storica, ma deve essere assimilata anche come metodo.

Trotsky e il movimento trotskista hanno rappresentato e rappresentano il meglio del movimento marxista rivoluzionario, rappresentano il potere dei consigli, l’internazionalismo, la democrazia operaia, testimoniano la resistenza all’oppressione burocratica stalinista.

Non ci si può definire marxisti rivoluzionari senza ricollegarsi al bolscevismo (lotta per il potere dei soviet, dell’internazionalismo contro il tradimento della socialdemocrazia). Allo stesso modo oggi non possiamo definirci veri comunisti se non rivendichiamo il trotskysmo come base per il rilancio della lotta di classe contro i rigurgiti stalinisti, contro la ‘deificazione’ della Korea del Nord ecc...

Riprendere il meglio del marxismo rivoluzionario non è una semplice dichiarazione di intenti ma esige delle responsabilità politiche verso la classe operaia. La ripetizione acritica dello schema “dell’Ottobre”, del programma comunista nella prassi non si coniuga con la difesa degli interessi storici della classe operaia. Alcuni gruppi dirigenti, anche del trotskysmo, nei fatti hanno preso le distanze dal marxismo rivoluzionario, non tanto dal punto di vista formale, ma dal punto di vista sostanziale rifiutando nei fatti l’opposizione allo stalinismo, rifiutando il comunismo e la rivoluzione socialista mondiale e preferendo a questo la chiusura nel proprio recinto fatto di settarismi e idiosincrasie (già sconfitte dalla storia).

Noi, come tendenza CQI del PCL, ci rivolgiamo alla base di queste organizzazioni e gli diciamo: «Compagni federiamoci per dare in Italia una proposta marxista rivoluzionaria, per dare un’alternativa alla classe operaia italiana, per opporci al rossobrunismo stalinsta. È un nostro dovere, una nostra responsabilità»
È un nostro dovere rispondere a questa nuova ondata reazionaria (Governo Draghi) e per farlo dobbiamo cambiare tattica.

Possiamo avere un peso nella lotta di classe, in questo paese, se ci lasciamo dietro le spalle le scelte politiche sbagliate, non più in linea con l’oggi e affrontiamo i prossimi appuntamenti politici in modo serio e non pregiudizievole.

Il “soli contro tutti” (come, di contro, essere la componente di sinistra di un ennesimo “agglomerato riformista”) non premia. Il chiudersi dietro i nostri simboli e le nostre tradizioni tattiche non ci ha aiutato sino ad ora e non crediamo possa farlo in futuro.

Le scelte politiche sino a qui seguite dalle forze che si richiamano al trotskysmo e il loro relativo orientamento tattico di fronte alle elezioni, ha disarmato a vari livelli i propri militanti e li ha lasciati impreparati al fatto compiuto, ha creato in loro false aspettative su risultati (non solo elettorali ma anche di sviluppo) che sistematicamente non ci sono stati. Ora dobbiamo parlare tra noi e insieme costruire un patto federativo sotto un unico simbolo, un coordinamento permanente.

Dobbiamo opporci alle illusioni tipicamente centriste che il partito rivoluzionario possa essere il risultato di un processo storico “inevitabile” e “immutabile”, ove ‘entrismo’ e ‘indipendenza politica’ (fuori dalla logica del fronte rivoluzionario) siano verità assolute e di per sé immutabili.

I marxisti rivoluzionari dovrebbero sapere, e sicuramente sanno, che un intervento corretto all’interno delle dinamiche di classe (a seconda del momento storico) può permettere a noi anche una capitalizzazione in termini di crescita e consenso. Vi è un momento per la presentazione elettorale indipendente, vi è un momento per l’entrismo, vi è un momento, come ora, per raggrupparsi sotto un cartello elettorale e costruire un coordinamento permanente delle forze rivoluzionarie.

Facciamo come in Argentina ove le forze marxiste si sono unite di fronte alle elezioni sotto una unica sigla, senza sciogliersi, in un progetto a lungo periodo e sono riusciti a portare la voce dei marxisti rivoluzionari nel Paese e a stimolare le lotte come è successo per la grande vittoria pro-aborto. Usciamo dai vecchi schemi e mettiamo a disposizione le nostre avanguardie per un progetto fattibile, possibile e chiaro. Se non lo vogliamo fare per noi facciamolo almeno per la classe operaia.


RICOSTRUIRE LA QUARTA INTERNAZIONALE

IL 22 Marzo del 1932 Trotsky scriveva «Se le organizzazioni più importanti della classe operaia tedesca continueranno con la loro attuale politica, credo che la vittoria del fascismo sarà quasi automatica e assicurata, e in un lasso di tempo relativamente breve».

La costruzione della Quarta Internazionale è il baricentro della politica marxista, il baricentro del PCL. La Quarta internazionale è l’unica strada che ha rappresentato e rappresenta per storia, programma e battaglia la possibilità di dotare la classe operaia di una direzione internazionale che guidi al superamento del sistema capitalistico. Oggi più che mai la battaglia per rifondare la Quarta Internazionale significa battersi per costruire una direzione internazionale all’altezza dei compiti; non è più procrastinabile, una vera e propria organizzazione basata sulla discussone, lontana da scorciatoie frazionistiche.

Quando Trotsky, dopo l’avvento del nazismo e la definitiva mutazione dell’internazionale stalinizzata, diede l’impulso per la fondazione della Quarta lo fece non solo per l’incombente esplosione della Seconda Guerra mondiale ma anche e soprattutto perché voleva assicurare l’eredità del bolscevismo attraverso un’avanguardia e un programma.

Trotsky e l’Opposizione di Sinistra [3] diedero vita al “blocco dei quattro” (il Socialistische Arbeiterpartei SAP tedesco e con due partiti olandesi – il Revolutionair Socialistische Partij RSP e l’Onafhankelijke Socialistische Partij OSP) a Parigi il 27-28 agosto del 1933 attorno ad un nuovo progetto politico, la costruzione di una nuova internazionale. Trotsky stesso scrisse il testo “Dichiarazione sulla necessità e sui principi di una nuova Internazionale”. Questa “dichiarazione dei quattro” nasce come una sorta di polo marxista di sinistra con lo scopo di attrarre verso l’Opposizione di Sinistra formazioni centriste come l’Independent Labour Party (ILP) britannico o lo Sveriges Kommunistiska Parti (SKP) svedese. La prospettiva di allargare il “blocco dei quattro” ad altre organizzazioni non andò in porto e se da un lato si denunciava il “fallimento della politica e delle organizzazioni della Seconda e della Terza Internazionale”, dall’altra faceva appello “a ricreare il movimento internazionale della classe operaia e a ricercare l’unità internazionale dei lavoratori su di una base socialista rivoluzionaria”. Queste posizioni sostenute dal SAP e dall’OSP che erano sicuramente il risultato del compromesso, evidenziavano i limiti dei centristi ma permisero a Trotsky di continuare il suo progetto di ricostruzione dell’Internazionale.

Trotsky e l’Opposizione di Sinistra non hanno mai voluto, nei fatti, rilanciare la nuova Internazionale con organizzazioni centriste ma hanno cercato tatticamente di strapparne la base. Volevano, insomma, rovesciare la logica erronea a cui il movimento trotskysta veniva assimilato, ovvero il settarismo.

Trotsky dal novembre del 1938, ovvero due mesi dopo la fondazione della nuova Internazionale, si dedicò alla chiarificazione delle idee della Quarta Internazionale (In difesa del marxismo) [4]. Non lo fece prima. In Trotsky il processo di unificazione dei marxisti rivoluzionari non avvenne tramite una sorta di radiografia politica delle singole organizzazioni, ma tramite la discussione e il programma.

Ora si tratta di ripartire da questo metodo. Cercare di unire il variegato mondo dei trotskysti conseguenti senza analisi chimiche. Insomma pensare oggi che i grantisti siano meglio dei lambertisti, dei morenisti o viceversa non solo non è utile ma ci allontana dall’obiettivo che dovrebbe essere comune, ricostruire la Quarta.

Le formazioni politiche che oggi precludono un processo fusionistico, ad esempio criticando la tattica opinabile dell’entrismo del movimento morenista nei sindacati peronisti, sono semplicemente dei settari senza prospettiva. Nessuno pensa sia stato giusto fare entrismo nel sindacato peronista, così come nessuno dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) pensare che l’assenza quasi totale di centralismo democratico dei lambertisti (e dei suoi addentellati) lo sia, nessuno dovrebbe pensare che sia stato utile l’entrismo strategico di Ted Grant nel Labour Party e infine nessuno dovrebbe sostenere che il menscevismo di Trotsky sia stata una pecca indelebile nella sua fedina politica; di sicuro non lo è stato per Lenin. Questo metodo non ci appartiene. Il distinguo si fa sui programmi e la democrazia.

IL PCL, per parte sua, ha indirizzato e deve continuarlo a fare (raggruppando) i propri sforzi verso la costruzione di un’organizzazione di quadri rivoluzionari educati e orientati alla rifondazione della Quarta Internazionale. Su questa strada si sono commessi naturalmente degli errori (abbiamo appreso - almeno una parte – dall’esperienza del CRQI, ad esempio, che il concetto di democrazia interna non è un aspetto secondario) ma da questa strada non si è mai usciti, fino ad ora, per imboccare scorciatoie che poi si rivelano e si sono sempre rivelate nella storia come dei vicoli ciechi. Anzi l’esperienza ci ha insegnato quanto questo impegno, aperto e senza mascherature strumentali sia intimamente connesso alla lotta di classe, come la costruzione del partito internazionale sia un tutt’uno con la preparazione della rivoluzione comunista. Le forze e i sedimenti ci permettono di entrare in una nuova fase, quella del rilancio dell’Internazionale.

La Rifondazione della Quarta è un lavoro necessario; non può avvenire come semplice sommatoria delle singole organizzazioni ma deve essere il frutto di una sana discussione basata sul centralismo democratico e sull’unità d’intenti, gli “appelli-boutade” alla unificazione di alcune organizzazioni sono poco convincenti e appaiono chiaramente strumentali, e altrettanto poco convincenti sono i tentativi di “inglobare” nella loro internazionale di riferimento altre organizzazioni, internazionali-frazione, che agiscono come se fossero i detentori della verità assoluta.

Crediamo, come Tendenza CQI del PCL, che sia importante ripartire dalla UIT. La UIT non è il fine ma il mezzo, tra le organizzazioni rivoluzionarie è una delle poche (per non dire l’unica) a non autoproclamarsi Quarta Internazionale, è tra le poche a funzionare in modo centralista democratico. La UIT ha saputo leggere bene, inoltre, le dinamiche delle società, le nuove relazioni come l’imperialismo cinese ; ha saputo avanzare parole d’ordine corrette come “il governo dei lavoratori”. Come Unità Internazionale dei Lavoratori Quarta Internazionale (UIT-CI) lavora attivamente e pratica attivamente la lotta di classe internazionale come è nella campagna “No ai brevetti per i vaccini Covid-19”. Vaccini per tutti. Lavora per un piano di emergenza e sostegno dei lavoratori travolti dalla crisi Covid, patrimoniale per i grandi capitali, espropriazione e nazionalizzazione delle multinazionali.
La UIT, al contrario di tutte le altre, qui sta la differenza di non poco conto, è uscita dal metodo di costruzione per gemmazione dal proprio ascendente (morenismo, lambertismo, healysmo, grantismo ecc).


CONCLUSIONE

IL PCL oggi è l’unica alternativa di classe rivoluzionaria in Italia ove si può dibattere, dissentire e proporre. Invitiamo tutte le compagne e i compagni presenti in Italia e “senza patria” a entrare nel PCL e, con noi, rilanciare questo progetto rivoluzionario.

Certo, per fare questo è necessario una chiarificazione politica, una chiarificazione strettamente connessa al programma. L’esperienza ci insegna che in mancanza di una chiara base di principio si costruisce nel vuoto.
Il trotskysmo è stato sempre accusato di “ideologismo” e di assenza di pragmatismo. Ecco, noi diciamo che la realtà è esattamente capovolta, il trotskysmo non ha nulla di ideologico (nel senso di schematico), l’astrattismo lo ha chi pensa che la Korea del Nord o la Cina siano paesi socialisti, chi ha pensato e pensa sotto altre forme che il “bertinottismo” rappresentasse l’innovazione del marxismo rivoluzionario; ecco questi aspetti sono la rimozione della storia e della lotta di classe. Il vero pregiudizio ideologico sta nel rimuovere questo patrimonio di esperienza: magari per promuovere sostegni critici o acritici a governi pentastellati.

Proprio per questo il rilancio dell’opposizione comunista richiede il recupero del trotskysmo come asse politico. Il recupero e l’attualizzazione dei principi programmatici come l’opposizione ai governi borghesi, il rilancio della conquista del potere da parte dei lavoratori, dei soviet, di un programma di transizione che colleghi le lotte immediate ad una prospettiva socialista e dell’internazionalismo. Senza questo metodo si è votati alla sconfitta e al dimenticatoio.


Note

1 - II Congresso I.C. Introduzione di Trotsky: "La nuova epoca e il nuovo parlamentarismo"
2 - Lenin, "Democrazia e Dittatura" (1918)
3 - Opposizione di Sinistra: termine che viene utilizzato dal movimento trotskista dall’aprile 1930 al settembre 1933.
4 - Testo di Trotsky

sabato 1 maggio 2021

CONDANNATO IL POLIZIOTTO RAZZISTA CHE ASSASSINÒ GEORGE FLOYD


di Simón Rodríguez, dirigente UIT-CI



Il 20 aprile, l’ex poliziotto Derek Chauvin è stato condannato per l’assassinio di George Floyd. Una giuria l’ha dichiarato colpevole delle tre imputazioni: omicidio colposo, di secondo grado preterintenzionale e di terzo grado. La lettura del verdetto è stata trasmessa per televisione, che ha mostrato anche il momento in cui un inespressivo Chauvin veniva ammanettato e allontanato dall’aula scortato dagli agenti per essere trasferito in carcere.

Si è indubbiamente trattato di una vittoria della rivolta antirazzista dell’estate dell’anno scorso, durante la quale sono scesi in piazza più di venti milioni di persone in cortei giganteschi in centinaia di città di tutti gli Stati del Paese, incuranti della repressione della polizia e della Guardia nazionale, incendiando commissariati e rovesciando statue e monumenti razzisti.

Ci si attende che la pena, che dovrà essere stabilita da un giudice nelle prossime settimane, sia di più di dieci anni di detenzione. La sentenza è stata pronunciata dai giovani e dalle comunità che hanno constatato che con le loro mobilitazioni si è potuta aprire una breccia nelle pratiche di istituzioni razziste fin nel midollo. Si è trattato di una svolta storica. Secondo l’Unione Americana per le Libertà Civili è la prima volta nella storia dello Stato del Minnesota che un poliziotto bianco è stato condannato per l’assassinio di un uomo di colore in sua custodia.

Si stima che poco più del 1% delle denunce di brutalità poliziesca sfoci in qualche tipo di sanzione in questo Stato. La polizia impiega metodi violenti sette volte più frequentemente contro neri che contro bianchi nella capitale statale, Minneapolis. Ma nel resto del Paese le cose non sono diverse. Fra il 2005 e il 2017 sono state assassinate circa mille persone all’anno dalla polizia degli Stati Uniti. In tutto questo periodo, solo 29 poliziotti sono stati condannati per omicidio volontario o preterintenzionale (BBC, 15/4/2021).

Portogallo: a 50 anni dalla rivoluzione dei garofani

Riportiamo un articolo pubblicato dalla UIT perché ci sembra un contributo utile per la comprensione storica degli avvenimenti in questione ...