martedì 24 maggio 2022

LA MEZHRAIONKA

 Negli ultimi decenni abbiamo vissuto, come popolo della sinistra, l’ossessione dell’unità della sinistra che spesso e volentieri è stata più una coazione a riprodurre lo stesso errore (un fritto misto di forze senza arte né parte con un vago riferimento alla classe) che subito si è trasformato in tragedia. Ricordiamo tutti gli esperimenti mal riusciti della “Lista Arcobaleno”, “Lista Ingroia” e the last but non least di “Potere al Popolo”, tutti accomunati dallo stesso obiettivo fallimentare, quello di fondere una sinistra “diversamente” comunista su un programma elettorale e non su una base ideologica e di principi.


La Mezhraionka è stato un esempio sui generis nella storia del mondo comunista, uno tra i pochi processi di unificazione di tendenze del movimento comunista andato a buon fine, è quindi giusto oggi ricordarlo.

La Mezhraionka non ha avuto il giusto posto nella storia, snobbato sia dai marxisti rivoluzionari che dagli storici, eppure qualche merito lo ha avuto. Nato dall’iniziativa di socialdemocratici che non condividevano le posizioni politiche né dei Bolscevichi (ipercentralismo) né dei Menscevichi (opportunismo e difensivismo) ma erano comunque dei sostenitori dell'unificazione di entrambe le tendenze all’interno del Partito Socialdemocratico.

Dal 1903 dopo lo scontro tra Bolscevichi e Menscevichi e la relativa scissione del 1903, nel POSDR (Partito Socialdemocratico Russo) aveva preso piede una tendenza unificatrice, una sorta di risposta emozionale alla rottura scissionistica di Lenin da Martov, con una consistenza numerica di seguaci non indifferente. A Vienna vi era la "Pravda" (da non confondere con il più noto organo di stampa Bolscevico) redatta da Trotsky tra il 1908 e il 1912. La Pravda trotskiana animò il dibattito della socialdemocrazia russa, fu tra le testate di area marxista rivoluzionaria (molto popolare) che al meglio auspicava il riavvicinamento tra Bolscevichi e Menscevichi. Nel novembre 1913, a San Pietroburgo, un gruppo di Socialdemocratici diede vita all'Organizzazione Interdistrettuale dei Socialdemocratici Uniti (Mezhraionka). A costruire tale gruppi furono menscevichi e bolscevichi come K.K. Yurenev, N.M. Egorov (deputato terza Duma di Perm) e l’operaio A. M. Novoselov che aveva un ruolo dirigenziale nel sindacato dei metalmeccanici sull’isola di Vasilevsky [1].

Le origini della Mezhraionka, secondo Ian Thatcher, hanno come principali fonti le testimonianze riportate dai loro dirigenti. Iurenev affermò che l'idea di formare la Mezhraionka [2] avvenne come reazione ad alcuni eventi politici: in primo luogo, la scissione formale nella leadership all’estero, cementata dalla Conferenza bolscevica di Praga [3]; in secondo luogo dallo sviluppo del cosiddetto “Blocco d'agosto” [4] a Vienna, entrambi gli aspetti avvenuti nel 1912. Chiaramente anche la dura la lotta intestina tra le correnti (menscevica e bolscevica) almeno a Pietroburgo, diede una spinta per la nascita dell’organizzazione. La Mezhraionka ebbe il merito, se così possiamo dire, di porre al centro del dibattito politico la militanza.

Nell'agosto 1914, gli Interdistrettuali assunsero una posizione corretta, contro la guerra, in opposizione al difensivismo menscevico:

«Nei primi sei mesi dopo lo scoppio delle ostilità la corrente rivoluzionaria di maggior successo fu la corrente della Mezhraionka. Sull’isola di Vasilevsky un comitato di sciopero interpartitico sopravvive dopo i disordini del 1914. In un certo momento dell’autunno istituì un comitato socialdemocratico distrettuale illegale, che aderì alla piattaforma della Mezhraionka. Le sue cellule funzionavo in 11 imprese, tra cui la fabbrica di tubi e la Siemen-Schkkert. Nel mese di ottobre nel distretto emersero dei circoli in diversi stabilimenti sul lato Pietroburgo…»[5].

La linea ideologica della Mezhraionka trovava eco all’estero nelle testate "Voice" e "Our Word", pubblicate a Parigi tra il 1915 e 1916 da Trotsky con la collaborazione in un primo momento di Martov e poi senza quest’ultimo. Martov all’epoca, con il suo gruppo, i “Menscevichi internazionalisti”, nonostante le sue incertezze politiche, prese una posizione internazionalista d’innanzi alla prima guerra mondiale.

La Mezhraionka durante gli anni del primo conflitto mondiale crebbe in modo lineare e mise le sue radici a San Pietroburgo; un rapporto di Okhrana (polizia zarista) parla di una "scissione anti-leninista nei bolscevichi" di discrete consistenza. Nel testo di Ian Tatcher la Mezhraionka viene definita come un "grande gruppo clandestino a Pietroburgo” [6]. Stando ai dati di Yurenev, nell'estate del 1914 Mezhraionka contava circa 1.000 militanti, dopo appena un anno dalla sua fondazione. Il distretto di Pietroburgo era la roccaforte più numerosa dell’organizzazione con più di 200 membri. Altre cellule di Mezhraionka erano presenti e diffuse in gran parte dei centri urbani della Russia nei distretti di Mosca, Vyborg, Gorod, Narva e Porokhovaia.

Durante il 1915 lo zarismo affonda duramente i suoi colpi e la repressione politica colpisce molti dirigenti rivoluzionari tra cui Yurenev (viene arrestato) e i suoi compagni. In quell’anno la Mezhraionka è soffocata dalla reazione e riuscì a pubblicare solamente un numero del quotidiano Vperyod (di 4 pagine):

«l'unico slogan proletario corretto è ... l'aggravamento del processo di lotta di classe e politica, che lo porta a una rivoluzione socialista nei paesi capitalisti avanzati e una rivoluzione democratica in Russia e in altri paesi monarchici arretrati» [7].

La situazione in Russia per la Mezhraionka nel 1915 è difficile, molti dirigenti sono agli arresti, il dibattito sulla guerra si sta sviluppando rapidamente travolgendo gran parte delle forze della sinistra. La Tendenza degli Interdistrettuali, non senza dibattito, decide di tentare di allacciare rapporti con i compagni all’estero, così A. Popov e N. Stoinov, si recano all’estero per sondare le opinioni dei leader socialdemocratici sulla guerra. Popov e Stoinov si confrontarono con una serie di emigrati in Svezia, Svizzera, Inghilterra e Francia, in questi incontri riscontrarono una ampia ostilità alla guerra, pensarono dunque possibile un’azione congiunta tra le varie anime della socialdemocrazia. La Mezhraionka vedeva fattibile un processo unitario da Martov a Lenin passando per Trotsky. Tutti questi dirigenti avevano espresso la loro avversità al conflitto imperialista. Martov, con la sua corrente all’interno dei Menscevichi (Menscivichi internazionalisti), sembrava sul punto di rompere con il gruppo dirigente menscevico guidata da Dan e Axelrod. Gli interdistrettuali fecero appello con forza all’unità dei socialdemocratici sia durante la conferenze di Zimmerwald che di Kienthal, chiedendo a gran voce il rilancio della lotta di classe e la trasformazione della guerra imperialista in una guerra civile.

La guerra imperialista fu un vero spartiacque per le organizzazioni operaie, avvicinò le componenti rivoluzionarie tra loro e allontanò le forze riformiste, si stava entrando in una nuova fase, una nuova fase rivoluzionaria, ma su chi l’avrebbe guidata, la rivoluzione in Russia, era ancora un mistero. Su quale programma avrebbe dovuto fare affidamento la classe operaia e su quale leadership? Nessuno aveva le risposte.

I Mezhrayontsy non avevano una visione univoca, certamente la presenza di Trotsky (anche se la sua adesione a tale tendenza in modo ufficiale arriverà solo nel 1917) aiutava a chiarire le idee, almeno sul piano teorico, con la “rivoluzione permanente” (centralità della classe operaia e presa del potere senza tappa intermedia democratico borghese), i Bolscevichi annaspavano nell’ambiguità della formula “rivoluzione democratica degli operai e dei contadini” (sostituita da Lenin nelle famose Tesi d’Aprile del 1917). Invece la maggioranza dei menscevichi aveva tutto chiaro: la futura rivoluzione democratico-borghese sarà guidata dalla borghesia, mentre al proletariato spetterà il ruolo di pungolo di sinistra in parlamento e nel paese.

La rivoluzione di febbraio sbaraglia le carte e apre al gruppo fondato da Yurenev l'opportunità di sviluppare rapidamente le proprie attività. I Mezhrayontsy, come venivano allora chiamati, pubblicarono una serie di volantini e appelli dal contenuto rivoluzionario (spesso con gli SR di sinistra), nei testi di propaganda gli Interdistrettuali ponevano risolutamente in primo piano le questioni della pace, della terra, del pane e della giornata lavorativa di 8 ore. Iurenev fu eletto nel Comitato Esecutivo del Soviet di Pietrogrado e la Mezhrayontsy svolgeva sempre più un ruolo di componente di sinistra nel Soviet di Pietrogrado.

Immediatamente dopo la vittoria della Rivoluzione di febbraio, crebbe in tutta la socialdemocrazia un grande desiderio di “unità”, era giunta l’ora di rispolverare un'unica casa per i socialisti, il concetto di “difendere” la rivoluzione stava trovando molti fan.

Per la stragrande maggioranza dei menscevichi e buona parte dei Bolscevichi il sostegno al governo Kerensky dopo la caduta dello zarismo aveva funzione progressiva e progressista, la dirigenza della sinistra pro Kerensky voleva ricostruire un blocco sociale di riferimento in grado di far pressione alla nascente borghesia russa perché realizzasse quelle ipotetiche conquiste sociali “democratiche” borghesi. Questo approccio, una sorta di sostegno critico delle forze della classe operaia al governo borghese, avrebbe dovuto configurare (secondo il sentimento diffuso di gran parte dei dirigenti della sinistra) in maniera più nitida il miglioramento delle condizioni della classe operaia e dei contadini, quindi un possibile successo verso l’emancipazione, una sorta di prima tappa.

Lenin e Trotsky trovano il loro punto di convergenza: «nessun sostegno al governo borghese - La nostra tattica è completamente suicida, nessuno appoggio al governo Kerenskij», queste sono le parole di Lenin rivolte ai bolscevichi titubanti. Il punto cruciale, di questa fase storica, sia per i Bolscevichi che per i gli Interdistrettuali sono i Soviet e la loro valenza storica. I Soviet sono un vero e proprio contropotere, sempre più centralizzati e organizzati rischiano di rovesciare da un momento all'altro il regime borghese dei vari Kerenskij. Il governo borghese e il popolo dei soviet sono divisi da un profondo disaccordo su molti punti, ma in particolare sulla condizione della guerra: il governo infatti intendeva proseguire la guerra a fianco degli alleati dell'Intesa, mentre le classi popolari, quelle che avevano subito le sofferenze più dure, desideravano una pace immediata.

Il 3/16 (secondo il calendario russo) aprile Lenin fa il suo ingresso in campo con la pubblicazione delle Tesi d'aprile. Le Tesi d’aprile rovesciano l'impostazione del gruppo dirigente bolscevico. La "Pravda", diretta da Stalin, si era rifiutata di pubblicare tre delle quattro "lettere da lontano" scritte da Lenin in esilio, secondo cui non bisogna sostenere il governo provvisorio, ma occorre preparare la rivoluzione proletaria, trasformare la guerra imperialista in guerra civile e rifiutarsi di cadere in un atteggiamento "socialpatriottico".

Con le Tesi d’aprile Lenin sostiene che bisogna passare alla rivoluzione socialista. I bolscevichi devono condurre l'agitazione tra le masse per convincerle della necessità della rivoluzione proletaria per fermare la guerra, assicurare il pane e dare la terra ai contadini. Le tesi di Lenin prevalgono nel partito dopo un serrato dibattito, la formula “dittatura democratica degli operai e dei contadini” è sostituita da “tutto il potere ai Soviet”.

Gli Interdistrettuali non furono travolti da questa ondata unitaria, la politica della Mezhraionka rimase la stessa: lotta di classe e internazionalismo, lotta contro la guerra e il governo provvisorio. La svolta a destra dei bolscevichi a marzo ebbe l'effetto di allargare la distanza politica tra loro e la Mezhraionka, gli elementi più rivoluzionari di Pietrogrado furono trascinati a sinistra. La crescita della Mezhraionka andò di pari passo con l’arrivo degli esuli di peso. All'inizio di maggio, L. Trotsky, G. Chudnovsky tornarono a Pietrogrado ed entrarono immediatamente a far parte del Comitato Interdistrettuale, successivamente fu la volta Anatoly Lunacharsky.

“Alla frontiera russa - la stazione di Beloostrov - Trotsky è accolto con fiori, bandiere, gagliardetti e canti. C’è una delegazione bolscevica di Pietrogrado guidata dall’operaio metallurgico Fedorv e una delegazione della Mezhraionka” [8].

Tra la Mezhraionka ricordiamo altri illustri dirigenti come Angelica Balabanov, F.I Kalinin (1882-1920). Mikhail Sokolnikov è il fratello di Grigory Sokolnikov. D. B. Ryazanov. Tra il 1913 e il 1915 la Mezhraionka accolse tra le sue file anche la Kollontaj.

Alla fine di luglio nel 1917, la coerenza cominciava a dare i suoi frutti, l'intera organizzazione del Comitato Interdistrettuale, contava più di 4000 mila membri. Con il crescere dell’organizzazione, la sovrapposizione con le posizioni bolsceviche divenne un dato di fatto. Tra le due tendenze inizia a concretizzarsi un processo di unificazione, processo di unificazione che avviene non sotto la spinta elettorale o peggio il mantenimento di un apparato come ha fatto di recente la sinistra, ma sull’unità d’intenti e sul programma.

Tutte le fusioni vincenti, anche queste, sono avvenute per volontà soprattutto dei gruppi dirigenti e dall’alto (quindi che le convergenze tra tendenze si hanno nelle lotte e che solo le lotte possono avvicinare è mera retorica settaria). La Mezhraionka e i Bolscevichi si unirono su un programma accompagnati da Lenin e da Trotsky.
Così infatti diceva la Pravda il 18 (31) maggio 1917:

In seguito alla decisione della Conferenza panrussa del Comitato centrale del nostro partito, riconoscendo che era estremamente desiderabile unirci ai Mezhrayontsy, ho avanzato le seguenti proposte (queste proposte sono state fatte al Mezhrayontsy inizialmente solo per conto del compagno Lenin e alcuni membri del Comitato Centrale, ma poi la maggioranza dei membri del Comitato Centrale ha approvato queste proposte):
L'unificazione è auspicabile immediatamente.
Al Comitato Centrale del PSDR sarà chiesto di inserire immediatamente negli organismi dirigenti e nella stampa di Partito un rappresentante della Mezhraionka.
Al Comitato Centrale verrà chiesto di costituire un'apposita commissione organizzativa per convocare (in 1/2 mesi) il Congresso del Partito. La Mezhraionka avrà il diritto di inviare due dei suoi delegati in questa commissione. Se i menscevichi, sostenitori di Martov, rompono con i "difensivisti", l'inclusione dei loro delegati nella suddetta commissione è auspicabile e necessaria.
La libertà di discussione su questioni controverse è assicurata dalla pubblicazione di volantini di discussione e dalla libertà di discussione all’interno del Partito.

Diversi membri della Mezhraionka furono eletti nel Comitato Centrale (Trotsky, Ioffe, Uritsky), il resto è storia.

La storia di questa organizzazione ci insegna che i marxisti rivoluzionari non sono avulsi a processi di unificazione. Porre i punti essenziali, gli obiettivi, i tempi e i mezzi per raggiungerli supportati dal centralismo democratico è la base per il raggruppamento delle forze rivoluzionarie. Né la fretta né le esigenze dei gruppi dirigenti possono sostituire l’unità d’intenti dei rivoluzionari; pazienza se ancor oggi abbiamo a che fare con una parte della sinistra che al semplice sventolare della falce e martello invoca l’unità omettendo un bilancio politico dello stalinismo e glissando sugli interessi della classe che spesso vengono confusi con gli interessi dell’apparato.

La Mezhraionka può vantare uno dei primi successi di unità tra rivoluzionari nella storia facendo leva sul programma politico e il metodo.



NOTE

1 - Storia del Bolscevismo vol 3, Alan Woods. A.C. Editoriale
2 - Ian D Thatcher “The Rise and fall Russian Social democratic Wprker’s Party Unity Faction”
3 - Conferenza di Praga (18/ 30 gennaio 1912). Parteciparono 18 delegati. Con l'esclusione di due menscevichi, tutti erano bolscevichi, e rappresentavano le sezioni del partito attive nelle principali città dell'Impero russo e le redazioni di alcuni giornali del movimento operaio. I lavori furono presieduti da Lenin, che relazionò sulla fase attuale e si occupò della redazione di tutte le risoluzioni dell'assemblea. Significativa tra le altre quella che sanciva l'esclusione dal partito dei cosiddetti "liquidazionisti", segnando l'acquisito controllo del partito da parte dei bolscevichi
4 - Blocco di Agosto (Vienna), vi presero parte alcuni menscevichi: un gruppo di Martov, Dan, parte dei bolscevichi e Trotsky. È stato chiamato l'unione delle forze socialdemocratiche. Ma questo blocco è rimasto sulla carta, le contraddizioni tra i vari gruppi erano troppo forti.
5 - R. Mckean estrapolato da Storia del Bolscevismo vol. 3 Alan Woods
6 - Ian D Thatcher “The Rise and fall Russian Social democratic Wprker’s Party Unity Faction
7 - Ian D Thatcher “The Rise and fall Russian Social democratic Wprker’s Party Unity Faction
8 - La Rivoluzione perduta di Broué.


BIBLIOGRAFIA AGGIUNTIVA

La Tragedia della Rivoluzione Russa. E. Cinnella, Luni Editrice.
La Rivoluzione Bolscevica, Carr. Einaudi.
Storia del Bolscevismo, Rosemberg, Sansoni.
Stalin di Trotsky, A.C. Editoriale.
Comunisti contro Stalin, P.Broué. A.C. Editoriale.
La coscienza della rivoluzione Daniels, Sansoni.


LINK UTILI

https://iskra-research.org/Marxists/Vpered/index.html

Eugenio Gemmo

martedì 15 marzo 2022

IL MAL DI CAMPISMO


In questa guerra, come in altre, alcune organizzazioni politiche sostengono posizioni astrattamente marxiste, ma che in realtà possono essere definite semplicemente come una sorta di "nazionalismo rovesciato", ci riferiamo al campismo, ovvero la divisione del mondo in blocchi geopolitici contrapposti.

Raramente i campisti (solitamente di matrice m-l, cioè stalinista) affrontano il conflitto di classe interno delle nazioni del "campo antimperialista" e, senza analizzare la natura di questi governi e delle loro economie, attribuiscono a queste nazioni una funzione progressista e progressiva. Non criticano mai le “nazioni antimperialistiche” e tendono a glissare o a opporsi apertamente ai movimenti di lotta che emergono tra la classe operaia di questi stati. Così gli scioperi in Cina sono il frutto dello sponsor Usa; le manifestazioni di dissenso per la guerra in Russia sono egemonizzate dalle forze reazionarie ecc.

C'è stato un tempo in cui l'identificazione con un blocco anticapitalista e antimperialista aveva un senso. La Rivoluzione Russa è stata sostenuta da milioni di lavoratori che hanno operato anche una rottura politica con quella sinistra sciovinista e governista. Lenin e Trotsky hanno fatto una rivoluzione rovesciando un governo di centro-sinistra, hanno costruito un’internazionale (I.C.) contro le derive riformiste della vecchia socialdemocrazia.

Quindi, dopo la rivoluzione del 1917, nonostante la distorsione avvenuta con l’ascesa di Stalin al potere e la relativa deviazione del metodo rivoluzionario (svolta Kuomintang, Terzo periodo e Fronti Popolari, assenza di democrazia, socialismo in un paese solo ecc.), si poteva dire che vi erano due blocchi: uno che era nato dalla rivoluzione operaia e combatteva per il “socialismo” (la difesa della casta burocratica) e l’altro un blocco capitalista che sosteneva (anche economicamente) la controrivoluzione in tutto il mondo.

Questo scenario oggi non esiste più, sono solamente due gli stati operai in dissoluzione (ahimè), Cuba e Corea del Nord. Bisogna dire ai nostalgici dell’URSS che la Russia è un nuovo imperialismo fatto di borghesia e sciovinismo.

Il campismo contemporaneo è, se dovessimo riassumere, la più grande distorsione del marxismo in quanto spinge la solidarietà con gli stati piuttosto che con la classe e la sua lotta internazionale. L'internazionale di Marx, Engels, Lenin e Trotsky, come struttura organizzativa e pratica, è completamente cancellata da questa visione. Questa tendenza generalmente sostiene stati chiaramente capitalisti (come Iran e Siria) o stati che affermano a parole di essere socialisti come la Cina (coprendosi di ridicolo, perché la Cina, ad essere obiettivi, non solo è un paese capitalista ma è una vera e propria potenza imperialista con annesse entrature di capitali in Africa e in varie parti del mondo), oppure ancora i campisti si aggrappano alla Corea del Nord (che di soviet ed internazionalismo non ha neanche l'ombra ma ha solo un despota che governa miscelando culti religiosi ad un neostalinismo vintage).

Il campismo in questi giorni viene sventolato non solo dalle organizzazioni neo staliniste o staliniste ma anche da Putin che si aggrappa a questo metodo per giustificare la sua invasione dell’Ucraina in opposizione all’imperialismo statunitense ed europeo. Lo stesso Putin nel suo discorso o meglio nella sua dichiarazione di guerra all’Ucraina, fatto in diretta tv il 21 febbraio 2022, ha parlato di riconoscimento, formale ed ufficiale, delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, ma anche e soprattutto ha evidenziato le colpe di Lenin secondo cui: «chi ha governato nell'Urss di inizio '900» - sarebbe colpevole della nascita e dell' "invenzione" dell'Ucraina, che «ha tolto pezzi al territorio della Russia».

Ecco il nuovo paradosso dei campisti: definirsi comunisti in opposizione a Lenin. Applauso!

Putin insomma rispolvera lo sciovinismo “grande russo”, lo stesso sciovinismo grande russo combattuto da Lenin anche all’interno dei bolscevichi contro Stalin che ne fu uno dei massimi rappresentanti.

Lenin aveva le idee chiarissime sul processo di autodeterminazione. Sosteneva, sia praticamente che teoricamente, che il processo di costruzione sovietico avvenisse su base volontaria perché «… lo zarismo e la borghesia grande-russa, con la loro oppressione, hanno lasciato nelle nazioni vicine un’ombra di rancore e di diffidenza verso i grandi-russi in generale, e questa diffidenza va dissipata con i fatti, e non con le parole». Questo metodo è alla base del leninismo, cioè della costruzione del socialismo per convincimento e non per assimilazione.
«(…) Invece della parola autodecisione, (...) io pongo un concetto assolutamente preciso: il diritto di separarsi liberamente» [1].

Insomma per Lenin il diritto dell’autodeterminazione era una parte integrante del programma bolscevico: «Il socialismo vittorioso deve necessariamente instaurare la completa democrazia e, quindi, non deve attuare soltanto l'assoluta eguaglianza dei diritti delle nazioni, ma anche riconoscere il diritto di autodecisione delle nazioni oppresse, cioè il diritto alla libera separazione politica» [2].

Per Lenin la lotta per l’autodeterminazione non era semplicemente una formula vuota, ma un metodo politico, un principio, e come è noto sulle questioni di principio Lenin non era solito fare concessioni, così la lotta contro lo sciovinismo grande russo per Lenin non si esaurisce nella battaglia teorica e in proclami ma vede anche la sua declinazione all’interno del partito, del suo partito.

Lenin ha già aveva notato nei primissimi anni ‘20 i metodi di Stalin e un'ulteriore conferma di ciò la ebbe verso la fine del 1922, quando ebbe chiaro in che modo Stalin silenziava il dissenso dei compagni georgiani. L’impero zarista era conosciuto, era passato alla storia come la “prigione dei popoli”, molte etnie/nazioni erano state rinchiuse dal recinto zarista. La classe operaia e il movimento popolare di queste nazioni oppresse avevano fuso la lotta contro lo zarismo con la lotta per la propria autodeterminazione, non a caso il diritto all’autodeterminazione era stato, come abbiamo scritto, uno dei punti fondanti del bolscevismo. Dopo il successo della rivoluzione, i bolscevichi avevano costruito il potere sovietico su alcune repubbliche nazionali oltre a quella Russa (Ucraina, Bielorussia, Georgia, Armenia, Azerbaijan) ovvero la Rsfsr (Repubblica socialista federativa sovietica russa).

Anche se sulla carta i rapporti tra le repubbliche sovietiche erano formalmente regolati, il Partito Russo bolscevico aveva una forte tendenza ad accentrare. Lenin dunque pone l’attenzione sulla questione e cerca una via d’uscita. Nell’estate del 1922 l’ufficio politico bolscevico crea una commissione, presieduta da Stalin, che ha il compito di affrontare la questione “georgiana” e delle altre federazione. Questa commissione è composta di persone vicine a Stalin e produce un testo (Tesi sull’autonomizzazione) che vidima nei fatti l’annessione delle cinque federazioni alla Russia.
Lenin reagisce nonostante le sue non buone condizioni di salute prima definendo Stalin “un po’ troppo precipitoso” [3].

Successivamente Lenin va all’affondo in una lettera indirizzata a Kamenev e al Comitato Centrale del 6 ottobre:
«Compagno Kamenev! Dichiaro guerra (e non una guerriciola, ma una lotta per la vita e per la morte) allo sciovinismo grande russo. Non appena mi sarò liberato di questo maledetto dente, lo assalirò con tutti i miei denti sani».

Alla fine Stalin media non avendo la maggioranza nel CC. Cede ma il problema sarà solo rimandato.

Lenin, dunque, non aveva dubbi sul concetto di autodeterminazione come, tornando a noi, sul tema del campismo non aveva dubbi sul concetto di “patria”: nella battaglia tra un imperialismo dominante e uno che cercava di ascendere Lenin si schierava senza mezzi termini da parte del proletariato, non aveva una divisione verticale (campi), bensì orizzontale (classi).

La parola d'ordine, basata sull'analisi della realtà e del carattere delle classi era e dovrebbe essere patrimonio del marxismo rivoluzionario; il proletariato non può sostenere nessuna guerra in cui i lavoratori si uccidono in nome della borghesia, così oggi di fronte alla aggressione dell’imperialismo nascente russo il metodo dovrebbe essere lo stesso.

Lenin fu accusato di essere un servo dell’imperialismo tedesco. Insieme a Trotsky e Rosa Luxemburg pagò con la vita la lotta contro lo sciovinismo. Il modo migliore per ricordare questi grandi marxisti è apprendere il loro metodo.

Il marxismo rivoluzionario è altro rispetto al campismo e consiste innanzitutto, come Lenin e Trotsky ci hanno insegnato, nella lotta per il potere politico della classe operaia e non fare gli ultras di presidenti egotisti autoritari di nazioni e/o potenze capitaliste.


Note

1 Lenin, Opere Complete, vol. 26
2 La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all'autodecisione, Lenin 1916
3 Lenin, Opere Complete, vol. 42

Eugenio Gemmo

sabato 8 gennaio 2022

Sostegno ai lavoratori del Kazakhstan

Dopo alcuni giorni di proteste e con l’ausilio dei militari russi nel Paese, il presidente del Kazakhstan ha dichiarato che la situazione è sotto controllo e "in larga parte ripristinato" l’ordine. Persino il presidente Xi Jinping si è congratulato con l'operato governativo: nella giornata di ieri il Presidente cinese ha inviato un messaggio di elogio a Tokayev per le "misure forti" da lui adottate, che hanno consentito di stroncare quella che Xi ha definito una "rivoluzione colorata" delle "forze straniere". 

In una diretta tv pubblica, Tokayev ha ammesso di aver dato l’ordine ai suoi militari "di sparare per uccidere senza preavviso" per fermare la sommossa. Sino ad oggi si contano almeno 26 manifestanti uccisi, centinaia sono rimasti feriti e più di 3mila persone sono state arrestate, insomma una mattanza. Tutto è iniziato con l'aumento del 50% dei prezzi del gas da parte del governo il 2 gennaio 2022 questo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso la popolazione del Kazakhstan è scesa per le strade e con essa gli scioperi hanno attraversato il paese, specie nel settore energetico. 

La protesta ha mosso i suoi primi passi a Zhanazoen, una cittadina di medie dimensioni, il 4 gennaio vi è stato il primo passo indietro delle autorità ritirando l'aumento dei prezzi e si è creato quello che volgarmente potremmo definire effetto domino, il popolo ha visto poteva affondare il colpo e la protesta velocemente si è diffusa sino ad Almaty, la più grande città del paese, e in molte altre città. 

Tutto questo condito dalla parola d’ordine "vecchio, vattene!":  Nursultan Nazarbayev, è al potere da più di trenta anni dittatore e padre padrone del Kazakhstan a nulla valse la grande mobilitazioni di massa del 2019 che impose all’allora presidente le dimissioni da primo ministro per essere assunte Tokayev (attuale presidente), ma nei fatti è ancora lui a detenere il potere. 

Siamo dalla parte della classe lavoratrice kazaka: chiediamo la cacciata immediata dell’imperialismo russo dal paese, l’allontanamento di Nazarbayev, la libertà per i lavoratori di organizzarsi al fine di costruire nuovi organismi decisionali con alla testa il mondo del lavoro. Chiediamo, infine, la liberazione di tutti i prigionieri!


La redazione del blog

lunedì 15 novembre 2021

GRANDE SUCCESSO DEI TROTSKYSTI IN ARGENTINA

 


IL racconto delle elezioni, la cronaca delle elezioni in Argentina, conclusesi ieri, non nè è complesso e né controverso. Bisogna solo avere il coraggio e l’onestà intellettuale di analizzarle, il primo dato, il più significativo che risalta gli occhi di cui adesso dobbiamo parlare è lo straordinario successo del trotskysmo argentino che si conferma come terza forza del Paese ottenendo quattro deputati nazionali: Myriam Bregman (Città Buenso Aires), Nicolás del Caño e Romina del Plá (provincia di Buenos Aires) e Alejandro Vilca (Jujuy).

Su questo risultato che valuteremo con maggior serenità quando nei prossimi giorni avremo un maggior numero di dati non possiamo però non sottolineare la grande forza del cartello elettorale, il FIT-U. Un cartello di forze rivoluzionarie, tutte con un ascendente trotskysta, che hanno messo da parte le loro invidie politiche neo settarie al servizio della classe operaia argentina, così oggi hanno avuto un ottimo consenso alle urne, sono state capaci di scuotere le piazze contro la destra e il peronismo così come poco più di un anno fa hanno diretto la lotta per il diritto all’aborto.

Insomma da più di un decennio il FIT è un punto fermo per tutta l’estrema sinistra a livello mondiale, una speranza per la lotta di classe internazionale.

ALL’ascesa del movimento rivoluzionario in Argentina corrisponde in modo più o meno direttamente proporzionale l’oblio dei media, specie in Italia, un vizio, un male che accumuna sia la stampa ufficiale che i portali dell’estrema sinistra che possiamo definire come una sorta di  “troskofobia”. Da anni ripeto che il problema politico cela sempre un problema ideologico così il FIT-U viene ridimensionato dalla stampa borghese (naturale) e l’estrema sinistra fa opera di quello che in psicologia si chiama “rimozione”. Pur di porre alla cronaca il successo dei trotskysti fa opera di cancellazione, semplicemente non esistono…

 

IL Fronte-Unità di Sinistra (FIT-U) ha ricevuto un grande consenso popolare e dal proletariato argentino, rimane stabilmente nel termometro elettorale come terza forza e l’elezione di quattro deputati nazionali distribuiti tra alcune forze del cartello ne sono la riprova

 

 

Nella provincia di Buenos Aires, le organizzazioni del FIT U composte dal PTS, IS, PO  e MST) hanno raccolto il 6,8% dei voti, nella sola città il blocco di estrema sinistra ha raggiunto il 7,76%.

 

 

Nella provincia di Jujuy hanno ottenuto il 25,2% a Jujuy appena sotto il 25,7% del FdT (101.807 voti). 1

 

L’Enorme consenso della FIT Unidad è funzionale a rafforzare l'alternativa di classe che è cresciuta e si è consolidata in tutti questi anni e sicuramente, come recita un loro comunicato servirà alla classe operaia “a contrastare le politiche del FMI, lottando per una retribuzione, lavoro e pensioni dignitosi.” La lista FIT-U si è fatta portavoce di un programma ben definito e incentrato, come di consueto, sui diritti dei lavoratori, civili con una critica diretta al sistema economico globale e proposte di statalizzazione. Parlare alla gente facendo leva su una prospettiva internazionalista mettendo al centro la redistribuzione della ricchezza.

 

Eugenio Gemmo 


1 FDT coalizioni di partiti Peronisti

giovedì 7 ottobre 2021

ARGENTINA: L'AVANZATA DEL FIT

 


Le elezioni argentine confermano la forza 

del Fronte di Sinistra e dei Lavoratori

di Luca Tremaliti



Ancora una volta il Fronte di Sinistra e dei Lavoratori - FIT - ha dato una dimostrazione che nel mondo c’è un esempio da seguire per chi si batte per un altro mondo possibile che superi i limiti del capitalismo e che lotti per il socialismo. Senza scadere in toni trionfalistici, il FIT ha mostrato alle scorse elezioni argentine il suo stato di salute, totalizzando oltre un milione di voti e risultando la terza forza politica argentina. L’unica ad essere ormai riconosciuta come la vera sinistra e la vera opposizione antisistema.

domenica 12 settembre 2021

QUANDO IL PROLETARIATO CHIEDEVA IL VACCINO

 La spiegazione degli eventi e l’insegnamento della storia si contraddistinguono, in questo periodo pandemico, non dalla qualità delle fonti ma dalla quantità delle fonti. Siti privi di qualsiasi fondamento scientifico proliferano distorcendo le notizie e la verità sui vaccini anti-Covid. Pullulano frasi come “vengono nascosti effetti collaterali e decessi post-vaccino”, “I vaccini anti-Covid sono sperimentali”.


In Italia l’Agenzia Italiana per il farmaco (Aifa) pubblica periodicamente il resoconto con le segnalazioni di sospetti eventi avversi, e la realtà è che «i vaccini autorizzati contro il Sars-Cov hanno effettuato tutti i passaggi della sperimentazione per ricevere l’autorizzazione all’immissione in commercio», non vi è stato nessun “salto del turno”.

Il nozionismo in sostanza sta sostituendo a poco a poco lo spazio della comprensione dei grandi fenomeni storici. Anche le lotte sociali di classe vengono sostituite da paure e convinzioni medievali. Il Covid-19 non è solo una malattia fisica, ma in molti scuote e mobilita le paure più irrazionali.

Era il 1973 quando un’epidemia di colera colpì l’Italia. La propagazione del colera, rispetto alla diffusione del Covid-19, ebbe un processo geograficamente inverso. Il centro del contagio fu Napoli, una città del Sud. Tutto ebbe inizio nell’agosto del '73, per la precisazione il 24 agosto, a Torre del Greco (dove Giacomo Leopardi morì 1837 durante un’altra epidemia di Colera), ove si segnalarono alcuni casi di gastroenterite acuta.

Già il 20 agosto la ballerina inglese Linda Heyckeey morì a causa del colera. Era più di un sospetto. L’ospedale Cotugno del capoluogo campano in pochi giorni assorbì molti pazienti, tutti affetti dagli stessi sintomi: diarrea, nausea e vomito. Il colera si diffuse, il batterio killer iniziò a preoccupare. La malattia viaggiò veloce per le vie della città e con essa, alla stessa intensità, si diffusero la paura e il panico.

Napoli aveva già avuto a che fare con il colera nel 1835, nel 1849, nel 1854, nel 1865, nel 1884 e nel 1893. I decessi furono migliaia, e migliaia di vittime – circa 16000 – il Vibrio cholerae (batterio responsabile del colera) li fece nella penultima epidemia del 1884. L’incubo colera si stava riproponendo per l’ennesima volta a Napoli.

La Napoli degli anni '70 era una Napoli molto diversa da quella di oggi, non solo in senso strutturale ma anche sociale. Il tessuto sociale era strettamente più connesso alla coscienza politica. L’impatto del colera a Napoli negli anni '70, se paragonato ai numeri del Covid-19 odierni, fu sicuramente di lieve entità, le morti (secondo le stime più pessimiste) furono 24, con circa 1000 pazienti ricoverati. Altre regioni come la Puglia, la Sardegna o città come Roma, Firenze, Pescara, Bologna e Milano, contarono ammalati ma nessun aspetto drammatico per le statistiche.

La ricerca delle cause della diffusione della malattia furono, almeno nella prima fase, complesse. Inizialmente infatti si ritenne che l’epidemia fosse stata causata dal consumo di molluschi infetti dai vibrioni, in particolare cozze, che venivano ingerite anche crude. La cosa molto particolare e curiosa è che le vere responsabili della diffusione del batterio furono le cozze tunisine e non quelle nostrane, perché i frutti di mare partenopei avevano un tale concentrato di colibatteri, a causa dell'inquinamento del mare, da impedire di sopravvivere allo stesso batterio del colera [1].

Fu il primo caso d’inquinamento selettivo per il proliferare di batteri.

Le autorità, dunque, adottarono diverse misure di anticontagio: iperclorinarono le acque dell’acquedotto municipale, bloccarono la vendita dei frutti di mare e il consumo nei ristoranti e nelle trattorie, e in concomitanza attivarono una raccolta di massa straordinaria di rifiuti, sanificarono strade ed effettuarono controlli a tappeto.

La situazione era seria, era necessario reagire, tanto più che, come tutte le questioni sociali, restavano sacche di convinzioni medioevali, populiste e parafasciste che facevano resistenza. Ieri come oggi avevamo la destra retrograda (i no vax odierni) in prima linea, i soliti sprezzanti del pericolo (negazionisti dell’epidemia) che pensarono bene di farsi riprendere mentre ingurgitavano cozze crude. Oppure si doveva fare i conti con l’incoscienza nazionalpopolare dei giovani, come quella degli "scugnizzi" che dopo essersi vaccinati si gettavano nelle inquinate acque di Via Caracciolo [2].

La presenza del Colera a Napoli, in pochi giorni, divenne un fatto ufficiale. I media sottolineavano il dato. Il Mattino il 28 agosto ufficializzava la presenza dell’epidemia. Gli anziani del posto avevano ancora vivo il ricordo di cosa aveva fatto il colera nel 1910, pochi decenni prima (111 decessi). Il 29 agosto, il Corriere titolava: «Paura del colera». Il giorno dopo: «Contagiati anche i bimbi».

Era necessario reagire, ma mancavano le dosi. In città, il siero anticolerico contava poco più di 17000 dosi [3]; la popolazione iniziava ad accusare il colpo e la non chiarezza sull’origine della diffusione del batterio metteva Napoli in ginocchio. I napoletani, oltre a subire la malattia, per la paura si trovano sigillati in casa senza poter consumare nulla, dal pesce all’acqua alla frutta. Il disagio cresceva, e aumentava anche il livello di coscienza di classe. Il popolo scese in piazza al grido di “vogliamo il vaccino!”. Napoli reclamò il vaccino. Era la classe operaia, la povera gente dalla grande Napoli che stava reagendo.

Nelle foto in bianco e nero di allora ci sono uomini, donne e bambini che protestano perché vogliono difendersi da quel nemico che evoca terrore e lutti. Proprio come dovrebbe essere oggi per il Covid-19, la gente di Napoli ancor meno di cinquant’anni fa lottava per aver un vaccino, per poter essere libera, per poter mandare i figli a scuola, per uscire e tornare alla normalità.

Ai giorni nostri, con un nemico molto più letale e cattivo, le cronache e le immagini in bianco e nero di quella estate napoletana del 1973 ci consegnano una grande esperienza positiva, l’esempio di come il popolo debba rispondere.

Si creano dunque a Napoli i primi centri vaccinali, uno dei primissimi fu alla Casa del popolo di Ponticelli (un’iniziativa promossa da alcuni militanti del PCI), e in poco tempo la vaccinazione cambia passo. Il 3 settembre il Corriere d’Informazione parla di circa 800000 napoletani vaccinati, e l’obiettivo del milione sembra vicinissimo; “prima di sera”, aggiunge, “potrebbero arrivare a sfiorare il milione”, ma la


cosa che più colpisce è, come afferma il Corriere: «in città si nota un clima molto più sereno».

Per rendere possibile la campagna di immunizzazione, in città erano stati allestiti decine di centri dove il vaccino poteva essere somministrato. Al 3 di settembre ne risultavano attivi «44 nella sola Napoli». Un aiuto importante, per dovere di cronaca, fu dato dalle truppe NATO presenti in Campania, dotate di "siringhe a pistola" capaci di somministrare le dosi in tempi molto rapidi. Questi strumenti erano quelli che utilizzavano per le loro truppe in Vietnam.

Quello che dobbiamo valutare con molta attenzione oggi è quello che ci ha insegnato questa vicenda. A Napoli ci fu una grande partecipazione della popolazione alle proteste per ottenere il vaccino. Con grande tenacia e pazienza, i partenopei ottennero il vaccino, mostrando piena fiducia nella scienza, nell’immunizzazione e nei vaccini.

La storia, come spesso accade, non solo tende a ripetersi, ma purtroppo, come diceva un grande, insegna ma non ha allievi. Nel caso del Covid, purtroppo, ha subito un ulteriore affronto ed è stata ribaltata.





NOTE



1) approfondimenti   https://storienapoli.it/2020/03/16/colera-1973-quando-usa-salvarono-napoli/#:~:text=Alla%20fine%20la%20versione%20pi%C3%B9,del%20vibrione)%20provenienti%20dalla%20Tunisia.&text=La%20cosa%20paradossale%20era%20che,allo%20stesso%20vibrione%20del%20colera%E2%80%9D



2Corriere del mezzogiorno



3) Corriere della Sera






ALTRE FONTI



L’epidemia di colera a Napoli



La lezione dell’epidemia del colera



Eugenio Gemmo

giovedì 15 luglio 2021

Cuba: per la libertà di Frank García Hernández e degli altri detenuti della sinistra cubana

Dichiarazione da parte dell'Unione Internazionale dei Lavoratori e delle Lavoratrici-Quarta Internazionale (UIT-CI). 

Da Cuba un appello alla solidarietà internazionale per l’immediata liberazione di detenuti della sinistra cubana che erano presenti durante le genuine proteste che si tennero nella giornata dell’11 luglio a La Habana e in altre città cubane. Fra i detenuti a La Habana compare il marxista e storico cubano, Frank García Hernández. Dal collettivo editoriale del Blog dei Comunisti arriva un appello alla solidarietà e una dichiarazione sulla genuinità delle proteste che non hanno niente a che vedere con manovre politiche da parte dell’imperialismo americano: «Oggi pomeriggio il popolo cubano è sceso in strada». Un popolo che non era stato convocato da nessuna organizzazione che non fosse la grave crisi economica che sta affrontando Cuba e l’incapacità, da parte del governo, di gestire la situazione. Cuba è scesa in strada con lo slogan sbagliato "Patria e vita" però è scesa con una promessa che andava al di là dello slogan ovvero esigere dal governo un vero socialismo. Per le strade non c’erano solo artisti o intellettuali, questa volta a manifestare era l’intero popolo in tutta la sua ampia eterogeneità». 

Denunciano inoltre che il regime ha represso le manifestazioni usando gas lacrimogeni al peperoncino e facendo uso di tutte le risorse loro disponibili. Dall’UIT-CI, come socialisti rivoluzionari ci uniamo all’appello per l’immediata libertà di Frank García Hernández e degli altri detenuti della sinistra cubana. Oltre a García Hernández, sono detenuti anche Leonardo Romero Negrin, giovane socialista studente di Fisica dell’Università de La Habana, Maykel Gonzalez Vivero, direttore di Tremenda Nota, una rivista marginale e Marcos Antonio Pérez Fernandez, uno studente minorenne del Preuniversitario. 

Come sempre l’imperialismo e i vermi di Miami vogliono usare queste proteste per la loro politica reazionaria e per attaccare la sovranità cubana. Tuttavia la gente è scesa in strada protestando contro la miseria, la mancanza di servizi e contro la repressione del governo cubano che tradì, ormai già da decenni, la sua rivoluzione socialista per favorire i privilegi degli altolocati e scendere a patti con le multinazionali. Dalla UIT-CI ci appelliamo a tutte le rivoluzionarie e rivoluzionari anti imperialisti e alle organizzazioni democratiche di sinistra per pronunciarsi e ad aggiungersi all’appello di libertà di Frank García Hernández e degli altri detenuti della sinistra cubana. 

12 luglio 2021


Traduzione della compagna Anna Bennato

Comunicato in lingua originale: https://uit-ci.org/index.php/2021/07/12/cuba-por-la-libertad-de-frank-garcia-hernandez-y-demas-detenidos-de-la-izquierda-cubana/


LA MEZHRAIONKA

  Negli ultimi decenni abbiamo vissuto, come popolo della sinistra, l’ossessione dell’unità della sinistra che spesso e volentieri è stata p...