lunedì 15 novembre 2021

GRANDE SUCCESSO DEI TROTSKYSTI IN ARGENTINA

 


IL racconto delle elezioni, la cronaca delle elezioni in Argentina, conclusesi ieri, non nè è complesso e né controverso. Bisogna solo avere il coraggio e l’onestà intellettuale di analizzarle, il primo dato, il più significativo che risalta gli occhi di cui adesso dobbiamo parlare è lo straordinario successo del trotskysmo argentino che si conferma come terza forza del Paese ottenendo quattro deputati nazionali: Myriam Bregman (Città Buenso Aires), Nicolás del Caño e Romina del Plá (provincia di Buenos Aires) e Alejandro Vilca (Jujuy).

Su questo risultato che valuteremo con maggior serenità quando nei prossimi giorni avremo un maggior numero di dati non possiamo però non sottolineare la grande forza del cartello elettorale, il FIT-U. Un cartello di forze rivoluzionarie, tutte con un ascendente trotskysta, che hanno messo da parte le loro invidie politiche neo settarie al servizio della classe operaia argentina, così oggi hanno avuto un ottimo consenso alle urne, sono state capaci di scuotere le piazze contro la destra e il peronismo così come poco più di un anno fa hanno diretto la lotta per il diritto all’aborto.

Insomma da più di un decennio il FIT è un punto fermo per tutta l’estrema sinistra a livello mondiale, una speranza per la lotta di classe internazionale.

ALL’ascesa del movimento rivoluzionario in Argentina corrisponde in modo più o meno direttamente proporzionale l’oblio dei media, specie in Italia, un vizio, un male che accumuna sia la stampa ufficiale che i portali dell’estrema sinistra che possiamo definire come una sorta di  “troskofobia”. Da anni ripeto che il problema politico cela sempre un problema ideologico così il FIT-U viene ridimensionato dalla stampa borghese (naturale) e l’estrema sinistra fa opera di quello che in psicologia si chiama “rimozione”. Pur di porre alla cronaca il successo dei trotskysti fa opera di cancellazione, semplicemente non esistono…

 

IL Fronte-Unità di Sinistra (FIT-U) ha ricevuto un grande consenso popolare e dal proletariato argentino, rimane stabilmente nel termometro elettorale come terza forza e l’elezione di quattro deputati nazionali distribuiti tra alcune forze del cartello ne sono la riprova

 

 

Nella provincia di Buenos Aires, le organizzazioni del FIT U composte dal PTS, IS, PO  e MST) hanno raccolto il 6,8% dei voti, nella sola città il blocco di estrema sinistra ha raggiunto il 7,76%.

 

 

Nella provincia di Jujuy hanno ottenuto il 25,2% a Jujuy appena sotto il 25,7% del FdT (101.807 voti). 1

 

L’Enorme consenso della FIT Unidad è funzionale a rafforzare l'alternativa di classe che è cresciuta e si è consolidata in tutti questi anni e sicuramente, come recita un loro comunicato servirà alla classe operaia “a contrastare le politiche del FMI, lottando per una retribuzione, lavoro e pensioni dignitosi.” La lista FIT-U si è fatta portavoce di un programma ben definito e incentrato, come di consueto, sui diritti dei lavoratori, civili con una critica diretta al sistema economico globale e proposte di statalizzazione. Parlare alla gente facendo leva su una prospettiva internazionalista mettendo al centro la redistribuzione della ricchezza.

 

Eugenio Gemmo 


1 FDT coalizioni di partiti Peronisti

giovedì 7 ottobre 2021

ARGENTINA: L'AVANZATA DEL FIT

 


Le elezioni argentine confermano la forza 

del Fronte di Sinistra e dei Lavoratori

di Luca Tremaliti



Ancora una volta il Fronte di Sinistra e dei Lavoratori - FIT - ha dato una dimostrazione che nel mondo c’è un esempio da seguire per chi si batte per un altro mondo possibile che superi i limiti del capitalismo e che lotti per il socialismo. Senza scadere in toni trionfalistici, il FIT ha mostrato alle scorse elezioni argentine il suo stato di salute, totalizzando oltre un milione di voti e risultando la terza forza politica argentina. L’unica ad essere ormai riconosciuta come la vera sinistra e la vera opposizione antisistema.

domenica 12 settembre 2021

QUANDO IL PROLETARIATO CHIEDEVA IL VACCINO

 La spiegazione degli eventi e l’insegnamento della storia si contraddistinguono, in questo periodo pandemico, non dalla qualità delle fonti ma dalla quantità delle fonti. Siti privi di qualsiasi fondamento scientifico proliferano distorcendo le notizie e la verità sui vaccini anti-Covid. Pullulano frasi come “vengono nascosti effetti collaterali e decessi post-vaccino”, “I vaccini anti-Covid sono sperimentali”.


In Italia l’Agenzia Italiana per il farmaco (Aifa) pubblica periodicamente il resoconto con le segnalazioni di sospetti eventi avversi, e la realtà è che «i vaccini autorizzati contro il Sars-Cov hanno effettuato tutti i passaggi della sperimentazione per ricevere l’autorizzazione all’immissione in commercio», non vi è stato nessun “salto del turno”.

Il nozionismo in sostanza sta sostituendo a poco a poco lo spazio della comprensione dei grandi fenomeni storici. Anche le lotte sociali di classe vengono sostituite da paure e convinzioni medievali. Il Covid-19 non è solo una malattia fisica, ma in molti scuote e mobilita le paure più irrazionali.

Era il 1973 quando un’epidemia di colera colpì l’Italia. La propagazione del colera, rispetto alla diffusione del Covid-19, ebbe un processo geograficamente inverso. Il centro del contagio fu Napoli, una città del Sud. Tutto ebbe inizio nell’agosto del '73, per la precisazione il 24 agosto, a Torre del Greco (dove Giacomo Leopardi morì 1837 durante un’altra epidemia di Colera), ove si segnalarono alcuni casi di gastroenterite acuta.

Già il 20 agosto la ballerina inglese Linda Heyckeey morì a causa del colera. Era più di un sospetto. L’ospedale Cotugno del capoluogo campano in pochi giorni assorbì molti pazienti, tutti affetti dagli stessi sintomi: diarrea, nausea e vomito. Il colera si diffuse, il batterio killer iniziò a preoccupare. La malattia viaggiò veloce per le vie della città e con essa, alla stessa intensità, si diffusero la paura e il panico.

Napoli aveva già avuto a che fare con il colera nel 1835, nel 1849, nel 1854, nel 1865, nel 1884 e nel 1893. I decessi furono migliaia, e migliaia di vittime – circa 16000 – il Vibrio cholerae (batterio responsabile del colera) li fece nella penultima epidemia del 1884. L’incubo colera si stava riproponendo per l’ennesima volta a Napoli.

La Napoli degli anni '70 era una Napoli molto diversa da quella di oggi, non solo in senso strutturale ma anche sociale. Il tessuto sociale era strettamente più connesso alla coscienza politica. L’impatto del colera a Napoli negli anni '70, se paragonato ai numeri del Covid-19 odierni, fu sicuramente di lieve entità, le morti (secondo le stime più pessimiste) furono 24, con circa 1000 pazienti ricoverati. Altre regioni come la Puglia, la Sardegna o città come Roma, Firenze, Pescara, Bologna e Milano, contarono ammalati ma nessun aspetto drammatico per le statistiche.

La ricerca delle cause della diffusione della malattia furono, almeno nella prima fase, complesse. Inizialmente infatti si ritenne che l’epidemia fosse stata causata dal consumo di molluschi infetti dai vibrioni, in particolare cozze, che venivano ingerite anche crude. La cosa molto particolare e curiosa è che le vere responsabili della diffusione del batterio furono le cozze tunisine e non quelle nostrane, perché i frutti di mare partenopei avevano un tale concentrato di colibatteri, a causa dell'inquinamento del mare, da impedire di sopravvivere allo stesso batterio del colera [1].

Fu il primo caso d’inquinamento selettivo per il proliferare di batteri.

Le autorità, dunque, adottarono diverse misure di anticontagio: iperclorinarono le acque dell’acquedotto municipale, bloccarono la vendita dei frutti di mare e il consumo nei ristoranti e nelle trattorie, e in concomitanza attivarono una raccolta di massa straordinaria di rifiuti, sanificarono strade ed effettuarono controlli a tappeto.

La situazione era seria, era necessario reagire, tanto più che, come tutte le questioni sociali, restavano sacche di convinzioni medioevali, populiste e parafasciste che facevano resistenza. Ieri come oggi avevamo la destra retrograda (i no vax odierni) in prima linea, i soliti sprezzanti del pericolo (negazionisti dell’epidemia) che pensarono bene di farsi riprendere mentre ingurgitavano cozze crude. Oppure si doveva fare i conti con l’incoscienza nazionalpopolare dei giovani, come quella degli "scugnizzi" che dopo essersi vaccinati si gettavano nelle inquinate acque di Via Caracciolo [2].

La presenza del Colera a Napoli, in pochi giorni, divenne un fatto ufficiale. I media sottolineavano il dato. Il Mattino il 28 agosto ufficializzava la presenza dell’epidemia. Gli anziani del posto avevano ancora vivo il ricordo di cosa aveva fatto il colera nel 1910, pochi decenni prima (111 decessi). Il 29 agosto, il Corriere titolava: «Paura del colera». Il giorno dopo: «Contagiati anche i bimbi».

Era necessario reagire, ma mancavano le dosi. In città, il siero anticolerico contava poco più di 17000 dosi [3]; la popolazione iniziava ad accusare il colpo e la non chiarezza sull’origine della diffusione del batterio metteva Napoli in ginocchio. I napoletani, oltre a subire la malattia, per la paura si trovano sigillati in casa senza poter consumare nulla, dal pesce all’acqua alla frutta. Il disagio cresceva, e aumentava anche il livello di coscienza di classe. Il popolo scese in piazza al grido di “vogliamo il vaccino!”. Napoli reclamò il vaccino. Era la classe operaia, la povera gente dalla grande Napoli che stava reagendo.

Nelle foto in bianco e nero di allora ci sono uomini, donne e bambini che protestano perché vogliono difendersi da quel nemico che evoca terrore e lutti. Proprio come dovrebbe essere oggi per il Covid-19, la gente di Napoli ancor meno di cinquant’anni fa lottava per aver un vaccino, per poter essere libera, per poter mandare i figli a scuola, per uscire e tornare alla normalità.

Ai giorni nostri, con un nemico molto più letale e cattivo, le cronache e le immagini in bianco e nero di quella estate napoletana del 1973 ci consegnano una grande esperienza positiva, l’esempio di come il popolo debba rispondere.

Si creano dunque a Napoli i primi centri vaccinali, uno dei primissimi fu alla Casa del popolo di Ponticelli (un’iniziativa promossa da alcuni militanti del PCI), e in poco tempo la vaccinazione cambia passo. Il 3 settembre il Corriere d’Informazione parla di circa 800000 napoletani vaccinati, e l’obiettivo del milione sembra vicinissimo; “prima di sera”, aggiunge, “potrebbero arrivare a sfiorare il milione”, ma la


cosa che più colpisce è, come afferma il Corriere: «in città si nota un clima molto più sereno».

Per rendere possibile la campagna di immunizzazione, in città erano stati allestiti decine di centri dove il vaccino poteva essere somministrato. Al 3 di settembre ne risultavano attivi «44 nella sola Napoli». Un aiuto importante, per dovere di cronaca, fu dato dalle truppe NATO presenti in Campania, dotate di "siringhe a pistola" capaci di somministrare le dosi in tempi molto rapidi. Questi strumenti erano quelli che utilizzavano per le loro truppe in Vietnam.

Quello che dobbiamo valutare con molta attenzione oggi è quello che ci ha insegnato questa vicenda. A Napoli ci fu una grande partecipazione della popolazione alle proteste per ottenere il vaccino. Con grande tenacia e pazienza, i partenopei ottennero il vaccino, mostrando piena fiducia nella scienza, nell’immunizzazione e nei vaccini.

La storia, come spesso accade, non solo tende a ripetersi, ma purtroppo, come diceva un grande, insegna ma non ha allievi. Nel caso del Covid, purtroppo, ha subito un ulteriore affronto ed è stata ribaltata.





NOTE



1) approfondimenti   https://storienapoli.it/2020/03/16/colera-1973-quando-usa-salvarono-napoli/#:~:text=Alla%20fine%20la%20versione%20pi%C3%B9,del%20vibrione)%20provenienti%20dalla%20Tunisia.&text=La%20cosa%20paradossale%20era%20che,allo%20stesso%20vibrione%20del%20colera%E2%80%9D



2Corriere del mezzogiorno



3) Corriere della Sera






ALTRE FONTI



L’epidemia di colera a Napoli



La lezione dell’epidemia del colera



Eugenio Gemmo

giovedì 15 luglio 2021

Cuba: per la libertà di Frank García Hernández e degli altri detenuti della sinistra cubana

Dichiarazione da parte dell'Unione Internazionale dei Lavoratori e delle Lavoratrici-Quarta Internazionale (UIT-CI). 

Da Cuba un appello alla solidarietà internazionale per l’immediata liberazione di detenuti della sinistra cubana che erano presenti durante le genuine proteste che si tennero nella giornata dell’11 luglio a La Habana e in altre città cubane. Fra i detenuti a La Habana compare il marxista e storico cubano, Frank García Hernández. Dal collettivo editoriale del Blog dei Comunisti arriva un appello alla solidarietà e una dichiarazione sulla genuinità delle proteste che non hanno niente a che vedere con manovre politiche da parte dell’imperialismo americano: «Oggi pomeriggio il popolo cubano è sceso in strada». Un popolo che non era stato convocato da nessuna organizzazione che non fosse la grave crisi economica che sta affrontando Cuba e l’incapacità, da parte del governo, di gestire la situazione. Cuba è scesa in strada con lo slogan sbagliato "Patria e vita" però è scesa con una promessa che andava al di là dello slogan ovvero esigere dal governo un vero socialismo. Per le strade non c’erano solo artisti o intellettuali, questa volta a manifestare era l’intero popolo in tutta la sua ampia eterogeneità». 

Denunciano inoltre che il regime ha represso le manifestazioni usando gas lacrimogeni al peperoncino e facendo uso di tutte le risorse loro disponibili. Dall’UIT-CI, come socialisti rivoluzionari ci uniamo all’appello per l’immediata libertà di Frank García Hernández e degli altri detenuti della sinistra cubana. Oltre a García Hernández, sono detenuti anche Leonardo Romero Negrin, giovane socialista studente di Fisica dell’Università de La Habana, Maykel Gonzalez Vivero, direttore di Tremenda Nota, una rivista marginale e Marcos Antonio Pérez Fernandez, uno studente minorenne del Preuniversitario. 

Come sempre l’imperialismo e i vermi di Miami vogliono usare queste proteste per la loro politica reazionaria e per attaccare la sovranità cubana. Tuttavia la gente è scesa in strada protestando contro la miseria, la mancanza di servizi e contro la repressione del governo cubano che tradì, ormai già da decenni, la sua rivoluzione socialista per favorire i privilegi degli altolocati e scendere a patti con le multinazionali. Dalla UIT-CI ci appelliamo a tutte le rivoluzionarie e rivoluzionari anti imperialisti e alle organizzazioni democratiche di sinistra per pronunciarsi e ad aggiungersi all’appello di libertà di Frank García Hernández e degli altri detenuti della sinistra cubana. 

12 luglio 2021


Traduzione della compagna Anna Bennato

Comunicato in lingua originale: https://uit-ci.org/index.php/2021/07/12/cuba-por-la-libertad-de-frank-garcia-hernandez-y-demas-detenidos-de-la-izquierda-cubana/


lunedì 5 luglio 2021

Testi di N. MORENO

 



 

Di seguito riproduciamo tre frammenti di diverse opere di Nahuel Moreno che riguardano il tema sulla Palestina.

"Slogan democratico palestinese che può aprire la strada alla rivoluzione dei lavoratori". Pubblicato su Correspondencia Internacional nel settembre 1982. Moreno ha polemizzato con un gruppo di compagni cileni che avevano abbandonato il lambertismo e si sono uniti alla nostra corrente (allora chiamata LIT-CI). Li troviamo un'ampia caratterizzazione dell'OLP.

"Israele, uno stato nazista". Pubblicato nel Primo Congresso Mondiale del LIT-CI [1985], Crux Editions, pp. 123/4. In uno dei suoi discorsi al Congresso Mondiale, Moreno ha brevemente fatto riferimento alla definizione di Stato di Israele.

"Chi opprime, chi è l'oppresso?" Pubblicato in Conversaciones, Edizioni Antidoto, pp. 5/7. In questa domanda, Moreno si smarca dalle accuse di "antisemita", definisce i sionisti in Palestina come oppressori e considera il terrorismo arabo come una conseguenza di quella brutale oppressione.

 

Slogan democratico palestinese che può aprire la starda alla rivoluzione dei lavoratori

 

Cari compagni,

Abbiamo ricevuto la vostra lettera del 31 luglio con domande "sommarie" e critiche implicite ed esplicite alle nostre posizioni sul Medio Oriente. La chiave delle nostre differenze, anche per quanto riguarda il metodo di affrontare il problema, sta nella vostra affermazione che la politica e lo slogan “Palestina laica, democratica e non razzista sono borghesi e possono essere sostenuti solo "se tale Stato emerge, nella lotta contro il sionismo e l'imperialismo".

D'altro canto, le nostre differenze sono più precise quando, alla fine della lettera, affermate di essere "naturalmente" d'accordo con noi sulla "caratterizzazione della guerra in Libano, sugli slogan antimperialisti centrali e sulla creazione di asse nella distruzione dello Stato sionista". Inoltre, quando approvano il nostro slogan "asse" di sostegno militare all'OLP e alle truppe siriane.

Quindi a prima vista le differenze sembrano essere puramente tattiche. Secondo lei, saremmo completamente d'accordo "sull'asse" e sulla "base", che sarebbe la "distruzione dello Stato sionista", e segnerebbe il vostro disaccordo su ciò che dovrebbe essere costruito "dopo": per noi sarebbe lo slogan "borghese" di uno Stato palestinese, laico, democratico e non razzista; per voi, d'altra parte, lo slogan che considerate "transitorio" e "classico del trotskismo": assemblea costituente palestinese sulla base della distruzione dello Stato sionista. Vedremo che non è così:

Chi lo distrugge?

Nel porre questa prima domanda, logicamente derivata dal nostro accordo principistico, iniziano le profonde differenze di metodo, che si riflettono poi nelle politiche e negli slogan. Se lo scopo decisivo e fondamentale è la distruzione dello Stato sionista, si tratta di stabilire quali forze oggettive sono attualmente impegnate in questo compito progressivo e storico, e quali sono i migliori slogan per sostenerli e garantire che essi svolgano il loro compito con il massimo entusiasmo e forza.

 Forse gli ebrei sabra e sefarditi lo faranno? Oppure i lavoratori Askenazi?

Al momento, queste forze sono il baluardo dello Stato sionista e non l'avanguardia della sua distruzione. L'aristocrazia operaia akenazista, attraverso il partito laburista, è tutta nel Sionismo. I Sabras e i Sefarditi diedero la base elettorale al sionismo e sostennero con entusiasmo i suoi piani per colonizzare le terre arabe.

Attualmente questo lascia come unico settore sociale nella lotta permanente contro Israele il movimento arabo e maomettano[1], alla cui avanguardia indiscussa sono i palestinesi, cacciati dalla loro patria dai sionisti. Per 34 anni, quando è stato costruito lo Stato razzista, il modo per combattere la sua distruzione è stato quello di sostenere la giusta guerra di palestinesi e musulmani. Non vediamo altro, perché non c'è altra forza nella realtà oggettiva che si trova di fronte, armi alla mano, contro il sionismo.

Come trotskisti, dobbiamo quindi cercare di trovare gli slogan appropriati per questa realtà oggettiva, cioè per aiutare la mobilitazione e la lotta araba. Questo è il nostro metodo, ma non il vostro.

Parole d’ordine per portare a termine il compito o dopo che è stato portato a termine?

Quando le nostre differenze metodologiche sono incarnate in diversi slogan, sorge il nuovo problema del ruolo e della posizione che devono svolgere nella lotta. Quando e per cosa dovrebbe essere usato uno slogan?

Se siamo guidati dalla vostra posizione sulla costituente palestinese viene sollevato lo slogan dopo che il compito di "base" è stato portato a termine. Non è per contribuire a realizzarlo meglio, ma per risolvere un problema che lo segue, in questo caso quello che sorgerebbe dopo la distruzione dello Stato sionista.

Questa è la metodologia che Trotsky definì come dissolvere il concreto nell'astratto e futurologico. In effetti: state sciogliendo il concreto, che è la lotta maomettana-palestinese per distruggere lo Stato fascista e razzista basato sull'Antico Testamento, nell'astrazione futurologica che, una volta distrutto lo Stato, chiamerà i suoi attuali abitanti, che sono sionisti e hanno la maggioranza assoluta sui palestinesi, a un’elezione costituente per discutere della riorganizzazione del paese dando a ciascuno di loro un voto, proprio come i palestinesi.

Noi, d'altro canto, riteniamo che lo slogan debba servire al compito, in questo caso la distruzione dello Stato israeliano. Non per rispondere ai problemi successivi a quella distruzione, ma per attuarla, per mobilitare meglio i palestinesi. E ancor meno quando l'astrazione futurologica è completamente reazionaria.

Il suo slogan non serve a far sì che gli unici attuali agenti della distruzione dello Stato sionista abbiano sempre più audacia e coraggio, ma va contro questo scopo. L'assemblea costituente palestinese, consapevolmente o inconsciamente, oggi serve il sionismo, lo storicizza nella contemporaneità, ed è la causa per cui Lambert lo appoggia, Lambert, non tutto il trotskismo e men che meni quello rivoluzionario.

La trappola del vergognoso sostegno

Uno dei problemi fondamentali della guerra, che in varie forme va avanti da 34 anni, è la disputa su chi ha il diritto di rimanere in Israele. Cioè, se i sionisti rimarranno o meno, se l'enclave imperialista sostenuta dagli ebrei rimarrà o sarà distrutta. I palestinesi dicono e lottano perché i sionisti - e gli occupanti che sono venuti a rafforzare l'enclave - se ne vadano.

Se l'enclave rimane, cioè se Israele vince la guerra, può assumere forme diverse. Potrebbe arrivare ad assimilare una minoranza palestinese collaborazionista e concedergli alcuni diritti; Perché no? quelli elettorali. Ma se sarà distrutta dalla guerra palestinese, significherà che i sionisti lasceranno Israele e, con loro, coloro che danno loro la loro base sociale e politica. Questo slogan: “fuori i sionisti da Israele”, è quello decisivo, quello che dà contenuto alla nostra formulazione di distruzione dello Stato sionista. Non c'è altro modo per distruggere lo Stato sionista se non cacciando i sionisti. Che razza di distruttore dello Stato sionista siamo se la nostra principale bandiera è quello di permettere ai sionisti di vincere o partecipare a elezioni dell'assemblea costituente, per le quali ci impegniamo a combattere al loro fianco e contro i palestinesi, perché non questi ultimi non considerano il voto dei sionisti come un voto utile?

L'assemblea costituente palestinese dopo la distruzione dello Stato sionista è proprio il modo vergognoso per sostenere i sionisti e convalidare la loro presenza, dando un'impiallacciatura "democratica" alla loro usurpazione fascista.

Se volete insinuare che questa costituente sarebbe stata fatta con coloni ebrei non sionisti, abbiamo implicitamente risposto prima. Quegli abitanti immaginari non esistono. Se il proletariato ebraico dovesse rompere con i suoi apparati sionisti (come lo chiamiamo noi), dovremmo studiare come collegarlo al meglio alla lotta palestinese. Ma questa è musica del futuro.

Nella vostra lettera c'è un errore teorico che vi porta verso lo slogan della costituente, anche se, come abbiamo visto, non serve a mobilitare i palestinesi ed è prosionista. Voi credete che sia "transitorio", quindi superiore al nostro, che è borghese.

Questo è falso. È uno slogan strettamente borghese, borghese come il nostro. Nessuno dei due ha un singolo elemento classista. L'elettore è una rivendicazione democratica borghese, che non si basa sulle classi, ma sui cittadini. Ad ogni abitante, un voto. È l'espressione ultima del diritto politico borghese.

Come ogni rivendicazione, indipendentemente dalla sua origine storica, può svolgere un ruolo tradizionale, progressivo, regressivo, rivoluzionario o controrivoluzionario, che dipende dal contesto. Ad esempio, è criminalmente controrivoluzionario in qualsiasi enclave coloniale, quindi è spesso usato dall'imperialismo per difenderli. Non riconosciamo alcun diritto democratico borghese per gli abitanti delle enclavi inviate dalla metropoli. Quando occuperemo Guantánamo, non chiederemo un'assemblea costituente con pari diritti per i cubani e per i colonizzatori della base. La nostra parola d'ordine è, fin da ora, “fuori gli Yankee da Guantánamo”, la stessa che abbiamo in Israele.

Oggi in Israele l'assemblea costituente è altrettanto controrivoluzionaria. Non potevamo che sollevarla in modo ultrapropagandistico - e non servirebbe a nulla - preceduta da una lunghissima spiegazione secondo cui ciò accadrà solo finché i palestinesi lo richiederanno, quando saranno espulsi da Israele tutti gli ebrei che sono sionisti, i fascisti, i razzisti e che non vogliano vivere con gli arabi.

Se questo non viene adeguatamente chiarito, o sciolto in una formula astratta come la distruzione dello Stato israeliano, senza esplicitare che questa distruzione implica necessariamente l’allontanamento dei suoi attuali abitanti, lo slogan significa accettare il fatto compiuto dell'occupazione ebraica di Israele e dire che d'ora in poi saremo tutti democratici, compresi i fascisti.

Perché la leadership dell'OLP lo abbandona?

D'altro canto, lo slogan borghese e non classista della Palestina laica, democratica e non razzista, oltre ad essere il più progressista sollevato dal movimento palestinese, può aprire la strada alla rivoluzione dei lavoratori. In un'altra situazione potrebbe diventare controrivoluzionaria, ma oggi svolge un ruolo preciso, equivalente a fuori gli Yankee da Guantanamo o fuori i sionisti israeliani, che è ciò che significa effettivamente "non razzista" della formula. E questo ci sembra un'ottima cosa: che i razzisti ebrei vengano cacciati dalla Palestina. E domani anche i razzisti arabi. Ma domani, non oggi. Perché oggi il razzismo arabo nei confronti di Israele è progressista: distrugge lo Stato sionista.

Così buono è lo slogan che, man mano che la leadership dell'OLP e del movimento arabo diventa sempre più reazionaria, la abbandonano e, con essa, la linea politica di distruggere lo Stato israeliano, al fine di accettare la costruzione di uno Stato palestinese in una parte del Medio Oriente.

Saremo lasciati soli nel sollevare lo slogan borghese-democratico più sentito e avanzato del popolo palestinese. Ciò non significa assumere uno scarto teorico borghese o piccolo borghese. Insistiamo sul fatto che il ruolo di ogni slogan dipende dal contesto in cui viene utilizzato. A questo proposito, è bene ricordare la tattica che Trotsky consigliò, dopo che Hitler prese il potere. "Il Vecchio" consigliò che la possibilità di studiare la convocazione del Parlamento che elesse Hitler, mediante la quale sarebbe stato possibile cercare di far rompere la piccola borghesia con il fascismo e farla unire al proletariato, attraverso la legittimità parlamentare. Lo stesso vale per l'Austria. Poiché la classe operaia non credeva nella democrazia dei lavoratori o nella dittatura del proletariato, Trotsky consigliò la linea di difendere la democrazia borghese con metodi di mobilitazione di classe.

Così come un parlamento ultrareazionario, la democrazia borghese o l'Assemblea costituente possono, in determinate circostanze, diventare slogan progressisti o transitori, riteniamo che in Medio Oriente lo slogan borghese che svolge tale ruolo sia quello della Palestina laica, democratica e non razzista.

Tale slogan servendo - nella misura in cui viene abbandonata dalla direzione dell'OLP - per attaccarla con il boomerang e lo stesso a tutti i riformatori che entrano in accordo con l'imperialismo, consegnando la lotta contro lo Stato sionista. Sembriamo essere gli unici "democratici coerenti", disposti a usare tutti i mezzi di lotta per distruggere lo Stato di Israele, imponendo il grande obiettivo delle masse arabe.

Cos'è l'OLP?

Le nostre differenze metodologiche e politiche sono strettamente legate a quelle che abbiamo anche per quanto riguarda la caratterizzazione globale della situazione e della stessa OLP. Quando voi scrivete che "se un tale Stato (laico, democratico e non razzista) emerge, nella lotta contro il sionismo e l'imperialismo, noi lo sosteniamo. Ma non è chiaro perché lo rivendichiamo come la nostra parola d'ordine", dimostrano che non credono che ci sia già un'organizzazione laica, democratica e non razzista in guerra con Israele e l'imperialismo. Tuttavia, esiste dal 1948 ed è stato consolidato dal 1969 quando è stata fondata l'OLP.

Per noi, la chiave della situazione in Medio Oriente è la guerra talvolta dichiarata, a volte no, ma permanente del movimento arabo e specificamente palestinese contro lo Stato di Israele. Tale guerra è stata espressa in forme diverse, a livello globale o limitato, con scontri tra Stati - come quelli tra l'Egitto e altre nazioni arabe - o con piccole e grandi azioni di guerriglia.

Tra le varie nazioni e nazionalità in una guerra permanente contro Israele, ce n'è una, quella dei palestinesi che, quando hanno organizzato l'OLP, hanno formato quell'organizzazione laica, democratica e non razzista, l'avanguardia della guerra contro il sionismo. La sosteniamo ora o ci aspettiamo che vinca la guerra, occupi Israele, riprenda il suo territorio e, con esso, si riformi come Stato, per poi sostenerlo.

Se lo facessi, la sosterremmo al momento della fine della guerra, quando il nostro sostegno non significherebbe nulla e anche quando lo slogan perderebbe il suo carattere transitorio.

Lei definisce l'OLP solo un partito politico. Per noi rappresenta la nazionalità palestinese come organizzazione statale sui generis laica, democratica e non razzista in guerra. È quasi uno Stato: è un fronte unico che comprende l'intero movimento palestinese che lotta per riconquistare la sua patria e diventare di nuovo uno Stato. In realtà, è un governo: abbiamo chiesto il riconoscimento come abbiamo fatto per l'FSLN in Nicaragua. È una nazionalità organizzata che ha fatto sopprimere la sua terra: quando sarà riconquistata, sarà ancora una volta una nazione. È una nazione sui generis.

Quando non si è consapevoli di questo ruolo dell'OLP, considerandolo una mera frazione politica dei palestinesi, si conferisce uno fondamento estremista alla caratterizzazione dell'imperialismo. Anche lui la ignora come organizzazione nazionale palestinese, definendola una corrente terroristica. Al contrario, è disposto a negoziare con figure palestinesi che nessuno conosce e, alla fine, con i sindaci palestinesi di Giudea e Samaria, perché hanno collaborato con Israele.

Il vostro rifiuto di riconoscere questo carattere come nazione sui generis senza territorio significa avallare l'espropriazione sionista e imperialista di quel territorio e concordare con loro quando sostengono che, quando sono stati espulsi, i palestinesi hanno cessato di essere una nazionalità organizzata.

Oggi la nazionalità organizzata palestinese ha circa 5 milioni di abitanti, suddivisi in due settori: quelli nei campi profughi, gestiti dall'OLP, che sono la maggioranza, e lo strato di professionisti, tecnici e, in generale, la ricca classe media, che è la più avanzata del mondo arabo e che lavora principalmente nei paesi del Golfo Persico. Non hanno perso la cittadinanza palestinese: sono militanti o contributori all'OLP, che ha sedi e ambasciate in tutti i paesi arabi e in molte altre nazioni.

L'OLP e il suo governo

La vostra caratterizzazione settaria dell'OLP, con cui confondete la sua progressiva totalità con il fatto che ha una leadership traditrice, capitolante o conciliante, produce diverse conseguenze. In primo luogo, per quanto riguarda la sua guerra storica, voi siete come i settari che non volevano sostenere l'Argentina contro l'Inghilterra, perché era governata da Galtieri.

Tuttavia, non siete nemmeno in grado di criticare la leadership per le loro vere capitolazioni che, a nostro avviso, si basano sull'abbandono dello slogan di parte per una Palestina laica, democratica e non razzista.

La stessa radice possiede la vostra critica sul fatto che siamo illusi perché chiediamo all'OLP di lottare per il socialismo.

Senza che questo sia il nostro slogan fondamentale poiché, come è stato detto, è il recupero della terra, la ricostituzione della nazione, l'espulsione dei sionisti e la creazione di una Palestina laica, democratica e non razzista, il nostro appello all'OLP a lottare per il socialismo si basa sul fatto che la consideriamo una nazione sui generis. Diciamo OLP socialista come diciamo Cile socialista. Non glielo chiediamo alla sua leadership borghese o piccolo borghese, così come in Cile non glielo chiediamo a Pinochet. Voi dimenticate di sottolinearlo con attenzione, ma sistematicamente - come facciamo con qualsiasi governo borghese che gestisce una guerra leale - critichiamo la leadership dell'OLP e non le diamo alcun sostegno politico.

La stessa confusione vi porta a farci notare che non agitiamo la necessità di costruire partiti trotskisti in Palestina e in Medio Oriente. Certo, devono essere fatti ora! Ma la prima cosa da costruirli è un programma concreto. Stiamo dando questo programma: il trionfo militare dell'OLP basato sulla mobilitazione delle masse arabe contro il sionismo, per distruggerne lo Stato e per il ritorno dei palestinesi, vale a dire dell'OLP. Questo è il punto fondamentale. Insieme a lui, per fare un'OLP che rompa con la borghesia, cioè uno Stato palestinese che rompe con la borghesia araba e pratica la lotta di classe. Questo è ciò che diciamo sistematicamente.

Possiamo discutere quale dei due poli del programma dovremmo evidenziare, che si tratti della rottura con la borghesia o di quella della distruzione dello Stato di Israele. Riteniamo che, se vogliamo lavorare sulle masse arabe e palestinesi, quello che abbiamo fatto sia necessario: il fronte comune di lotta contro i sionisti, all'interno del quale chiediamo una nuova direzione. È con questo orientamento che lavoriamo e vogliamo lavorare nell'OLP. Ci sembra la più appropriata, in senso stretto, l'unica, in grado di costruire, con i suoi migliori combattenti e con i suoi settori più sfruttati, il partito rivoluzionario.

 

Israele, uno Stato nazista

Voglio toccare Israele di passaggio. In primo luogo, fare un'autocritica: Israele non è uno Stato fascista ma, nel senso che lo definiamo, è nazista. Il nazismo fornisce metodi di guerra civile, non solo contro il proletariato, ma anche contro le razze, specialmente quelle ebraiche e slave. È una delle più grandi mostruosità dell'imperialismo.

Non voglio soffermarmi sul problema storico, che il nazismo ha potenzialmente mostrato a tutto ciò che è il futuro dell'umanità se trionfa il capitalismo. Dal punto di vista della mostruosità, la dinamica nazista è grande, perché è il tentativo di trasformare gli sfruttati in specie diverse, in razze diverse. La mostruosità del capitalismo, in questo senso, ha ottenuto un punteggio alto. Nella mostruosità umana non ce ne possono essere di più: il tentativo di dividere l'umanità in settori che finiranno in specie diverse, alcuni lavorano e altri vivono a spese dell'altro. Ecco perché c'erano metodi di guerra civile contro le razze, non solo contro la classe operaia [...]

Sappiamo perfettamente che la classe operaia israeliana - in particolare Ashkenazi (cioè ebrei di origine europea) - non è perseguitata; sappiamo che hanno Histradrut (confederazione sindacale), che hanno tutto. [...] Ciò che denunciamo è che esiste un genocidio razziale sistematico. Questo è tipico del nazismo piuttosto che del fascismo. Ecco perché mi sto auto criticando.

Non abbiamo preso la profondità di questo che abbiamo imparato ora. Anche uno dei più grandi giuristi israeliani, un membro - se non ricordo bene - della Corte suprema, ha affermato che Israele è nazista. Siamo cambiati e abbiamo detto che era fascista, non afferrando quanto fosse profondo. Ha capito più di noi, e sapeva che anche come membro della Corte Suprema poteva permettersi di dire che Israele era nazista, era libero di dirlo. Aveva ragione, era un nazista in quel senso: i metodi della guerra civile contro una razza. Dove una razza è perseguitata con metodi da guerra civile, ci sono metodi nazisti, perché sono metodi di guerra civile.

Beh, compagni, niente di più.

 

 

Chi opprime, chi è l'oppresso?

 

Lei disegna un parallelo tra nazismo, apartheid e sionismo. Non è mai stato accusato di essere antisemita per questo?

 

Sì, la sinistra sionista mi accusa di essere antisemita, soprattutto perché sostengo che la distruzione dello Stato sionista è necessaria.

Come marxista, parto dal presupposto che il proletariato di una nazione che sfrutta e opprime un'altra, come Israele arabi e palestinesi, non possa essere liberato. La classe operaia ebraica è erede di una gloriosa tradizione nella lotta di classe: il percorso del proletariato occidentale, incluso quello argentino, è cosparso di una moltitudine di eroici combattenti ebrei. Ma questo proletariato non potrà continuare fino alla fine, né rinverdire e superare la sua gloriosa tradizione fino a quando non si schiererà dalla parte dei palestinesi e degli arabi, repressi, perseguitati e schiavizzati dallo Stato di Israele. Il genocidio è una costante del sionismo, dai primi anni alla recente invasione del Libano e al massacro dei campi di Sabra e Shatila.

Definirci antisemita è una trappola per gli incauti. È come dire che un tedesco che voleva la sconfitta della Germania nazista era antitedesco, o chi vuole cancellare la repubblica boera dalla carta geografica perché è anti-nera, è razzista perché è contro i contadini boeri.

La domanda a cui rispondere riguardo alle relazioni tra popoli, razze, nazioni e classi è molto semplice, direi troppo semplice: chi opprime, chi è l'oppresso? Per un marxista rivoluzionario, la risposta è semplice come la domanda: siamo contro gli oppressori e per gli oppressi. Difendiamo quest'ultimo fino alla morte, pur sottolineando, se necessario, gli errori della loro gestione.

Il terrorismo arabo è una tattica aberrante, totalmente sbagliata, e lo diciamo noi. Ma continuiamo a stare al fianco dei palestinesi e degli arabi, difendendo questi combattenti anche se impiegano tattiche aberranti e mostruose, che vanno contro gli interessi dei loro popoli.

L’essenziale per noi è che questo terrorismo è il prodotto della disperazione dei giovani palestinesi che vivono in condizioni simili a quelle dei campi di concentramento nazisti. Guarda le foto degli abitanti di quei campi: hanno la pelle incollata alle ossa. Mostrano lo stesso status dei sopravvissuti dei campi di Buchenwald e Auschwitz, quando furono rilasciati alla fine della guerra. Il colpevole è lo Stato di Israele, sostenuto, purtroppo, dal suo popolo; così come lo stato nazista, durante i suoi primi anni, ebbe il sostegno della maggioranza del popolo tedesco. Non importa se questi campi si trovano all'interno o all'esterno dei confini di Israele: la loro esistenza è dovuta all'espulsione dei palestinesi dalla loro patria.

La somiglianza con lo stato boero e il nazismo è evidente. Il nazismo non solo perseguita la sinistra, ma utilizza i metodi più selvaggi di guerra civile contro altre razze, principalmente contro gli ebrei. Abbiamo sempre combattuto in prima fila contro tutte le espressioni del nazismo e difenderemo incondizionatamente gli ebrei.

Quando si appartiene a una razza o a una nazione sfruttatrice, nella lotta contro una nazione oppressa o la nazionalità, se si è un marxista rivoluzionario coerente, si è per il disfattismo rivoluzionario. Il male minore è la sconfitta del proprio paese o nazionalità. Lenin era a favore della sconfitta russa nella guerra russo-giapponese e nella prima guerra mondiale, ed è per questo che è stato definito un traditore, antiruroico, razzista, agente tedesco. E i nostri compagni ebrei che combattono il sionismo sono chiamati traditori, rinnegati, antisemiti, per aver opposto l'oppressione e il genocidio di arabi e palestinesi da parte dello Stato di Israele.

L'oppressione razziale in Israele e in Sudafrica è un'espressione moderna della barbarie nazista, che dimostra ancora una volta che, laddove c'è capitalismo, il nazismo è dietro l'angolo se non viene fermato dal movimento di massa.

E anche senza raggiungere i mostruosi estremi del nazismo e dei suoi fratelli più giovani, sionismo e apartheid, lo sviluppo economico stesso del capitalismo porta ai casi del nord-est brasiliano e dell'India: nanismo, brutalizzazione progressiva e cumulativa.

 

Cosa sono il sionismo e Israele?

 

Di Mercedes Petit e Gabriel Zadunaisky. Estratto da una lettera aperta della direzione del PST al Partito dei Lavoratori, datata 11 marzo 1984. Il testo individua le caratteristiche della "sinistra" del sionismo e il suo slogan di "pace via terra", argomentando contro le posizioni prosioniste del PO. 

 

Alla fine del secolo scorso, in risposta ai pogrom contro gli ebrei che si verificarono principalmente nell'Impero austro-ungarico e nella Russia zarista (che erano tra le altre ragioni il risultato di un'intera politica di repressione nei confronti dei lavoratori e delle diverse nazionalità oppresse), si formò un movimento guidato direttamente dalla borghesia imperialista (con alcuni importanti magnati miliardari ebrei in testa). , come Rothschild), il Sionismo, che ha sostenuto che la soluzione fosse quella di formare uno stato "ebraico". Questo piano aveva l'obiettivo perfido di rimuovere le masse ebraiche (per lo più poveri contadini, artigiani, piccoli commercianti o lavoratori) dalla lotta di classe dei rispettivi paesi, dalla lotta di tutti gli sfruttati e oppressi per rovesciare quei regimi totalitari, e dalla lotta mondiale contro il sistema imperialista borghese. Aveva lo scopo esplicito di allontanarli dai partiti marxisti e rivoluzionari, che furono condannati dai sionisti come partiti "sovversivi".

Questo piano imperialista basato sul razzismo, cioè fascista, è stato combattuto dai marxisti fin dalla sua origine. La Terza Internazionale considerava "il pretesto per creare uno Stato ebraico in Palestina, quel paese in cui gli ebrei formano una minoranza insignificante", come "l'inganno organizzato dalle potenze imperialiste con la complicità delle classi privilegiate dei paesi oppressi" (Secondo Congresso, 1920).

Poiché l'aspetto stesso di questo sinistro movimento per il marxismo, la seguente definizione è valida:

"Stato ebraico" = Sionismo

= razzismo = fascismo

Israele, un "paese" sionista,

razzista, fascista, invasore

La controrivoluzione imperialista sionista fascista riuscì ad imporre lo "Stato ebraico" alla Palestina nel 1948. L'emergere di Israele in quelle terre fu il culmine di lunghi anni di lotta e resistenza antimperialista da parte delle masse arabe in Medio Oriente. Tra le due guerre mondiali ci furono numerose insurrezioni contro i colonialisti britannici e francesi.

La Palestina, che era stata sotto il dominio britannico dalla fine della prima guerra mondiale, fu il perno di queste mobilitazioni, in particolare tra il 1936 e il 1939. Per schiacciare le masse palestinesi, l'imperialismo inglese dovette appellarsi a metà delle truppe del suo esercito, uno dei più potenti del mondo.

E ebbe anche l'efficiente collaborazione della sinistra Haganah, l'esercito "non ufficiale" che i sionisti avevano formato per reprimere i palestinesi durante l'occupazione britannica. In questa lotta, migliaia di palestinesi sono stati uccisi, arrestati e condannati all'impiccagione o condannati a pene detentive molto lunghe. Nel 1939, l'eroico popolo palestinese fu praticamente schiacciato da quel bagno di sangue. Ciò facilitò la formazione dello "Stato ebraico", Israele, nel 1948.

La popolazione palestinese nativa è stata privata delle proprie terre e proprietà, dei propri diritti democratici nazionali e territoriali, dalla forza militare delle truppe britanniche e delle bande paramilitari sioniste - lasciando da parte le frizioni temporanee che si sono verificate tra sionisti e britannici - con il sostegno dell'imperialismo francese e americano e la benedizione della sinistra burocrazia sovietica. La maggior parte degli abitanti della Palestina è stata costretta a emigrare, a vagare come paria nei vari Stati arabi della regione, e quella rimasta all'interno dei confini del nuovo "paese" da allora ha subito non solo un enorme sfruttamento eccessivo, ma tutte le conseguenze della legislazione ferocemente razzista che prevale in Israele, paragonabile solo a quella dell'apartheid sudafricano.

Israele non è un paese qualsiasi, ma un prodotto artificiale, il prodotto della controriluzione imperialista-fascista, uno Stato invadente e razzista, la cui esistenza si basa su massacri, genocidi, espropri e l'espulsione dalle sue terre della massiccia popolazione palestinese.

Noi argentini siamo ben consapevoli di un fenomeno simile a quello di Israele: le isole Malvinas. 134 anni fa, le truppe britanniche invasero quella parte del territorio nazionale argentino, imposero il loro dominio con la forza militare e le trasformarono in un'enclave coloniale. Imperialismo e sionisti = razzisti = fascisti israeliani fecero lo stesso nel territorio palestinese, dal 1948. Con una differenza che aumenta il crimine: mentre quella parte del territorio argentino era disabitata, le terre su cui era imposto lo Stato fascista erano abitate da milioni di contadini pacifici, per lo più palestinesi, che venivano invasi, massacrati e sfrattati. Così come le Malvinas[2] - dopo la sconfitta della guerra del 1982 - rimangono un'enclave coloniale britannica in territorio argentino, Israele è un paese enclave, basato sulla persecuzione della popolazione nativa, dei palestinesi, sia all'interno che all'esterno di Israele.

Ricordiamo compagni: dal 1948, per i rivoluzionari è valida la seguente definizione:

        "Stato ebraico" = esistenza di

                                 Israele = enclave = genocidio

Torneremo!  Il grido di guerra dei Palestinesi

Sebbene l'invasione imperialista, sionista, fascista abbia trionfato nel 1948, imponendo lo Stato di Israele, da allora è iniziata la guerra contro Israele di tutte le masse arabe e dei palestinesi in particolare per tornare nelle loro terre e riconquistare i propri diritti. Il fatto di dover affrontare costantemente l'aggressione militare dei sionisti = fascisti israeliani causata dall'esistenza di Israele e dall'essere stati lasciati senza terra, dall'essersi trasformata in una nazione senza territorio, che ha dovuto subire anche non solo gli attacchi diretti dell'imperialismo e degli israeliani, ma anche di settori della borghesia e dei proprietari terrieri arabi , portò alla loro lotta che si svolgeva quasi esclusivamente in forma militare, con i fedayn, i famosi combattenti contro l'esercito israeliano, e con tutti i tipi di azioni e attacchi di sabotaggio, sia contro l'imperialismo che contro gli invasori sionisti.

Negli anni '60 fu costituita l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che divenne l'organizzazione centrale per tutti i palestinesi espropriati dall'imperialismo e da Israele. Da allora l'OLP ha condotto la guerra dei palestinesi a tornare in patria. La resistenza palestinese fu forgiata e l'OLP divenne grande e forte, fino a quando non divenne riconosciuta in tutto il mondo come rappresentanza nazionale del popolo palestinese, perché espose l'unica soluzione democratica al "problema" palestinese: la distruzione dello Stato di Israele, per permettere alla stragrande maggioranza della popolazione, i palestinesi, di tornare nelle loro terre. Nel caso di questo popolo punito, il loro diritto all'autodeterminazione nazionale inizia con il recupero delle terre da cui sono stati selvaggiamente espulsi. Se si ottiene il diritto democratico dei palestinesi al ritorno, ciò significa la scomparsa dello Stato fascista = sionista, perché i palestinesi sono la maggioranza indiscussa. Democraticamente, i palestinesi saranno in grado di stabilire uno "Stato laico, democratico e non razzista" (come dice la Carta nazionale dell'OLP), che sarà l'unico che sarà in grado di portare la pace nella regione e permettere ai suoi abitanti musulmani, ebrei e cristiani di godere degli stessi diritti.

La posizione dei rivoluzionari è chiara. Proprio come fin dall'inizio combattiamo il sionismo per il suo carattere razzista-fascista, dal 1948 abbiamo appoggiato incondizionatamente questa guerra, che significa la lotta democratica del popolo palestinese, e poi dell'OLP, per distruggere Israele e tornare nei suoi territori espropriati. Ricordiamo i colleghi:

Autodeterminazione dei palestinesi= distruzione di Israele

L'ala "democratica" dei fascisti

Israele, fin dalla sua esistenza, incoraggiò lo sviluppo di un'ala del sionismo che criticava le azioni più ripugnanti dell'esercito israeliano, i genocidi più scandalosi, i piani più espansionistici dei vari governi, con l'obiettivo preciso di cercare sostegno tra le organizzazioni di sinistra e l'opinione democratica dei diversi paesi per il riconoscimento dello "Stato ebraico", fascista, razzista, genocida, che avrebbe dato legittimità all'esistenza di Israele.

Questa ala "democratica" del sionismo, nota anche come "sinistra", o "socialista", fa appello alla seguente falsificazione di argomenti: in Medio Oriente ci sarebbero "due" popoli che storicamente hanno combattuto per la loro liberazione nazionale, i palestinesi e gli "ebrei". Quest'ultimo avrebbe fatto un passo immenso poiché Israele esiste, e ciò sarebbe il risultato del "trionfo del Sionismo, il movimento di liberazione del popolo ebraico". La differenza tra palestinesi ed "ebrei" sarebbe che i palestinesi non hanno ancora raggiunto il trionfo, non hanno un loro stato e gli "ebrei" invece si. Spetta ai palestinesi "anche" avere il loro Stato e devono continuare la loro lotta, ma non dovrebbero farlo "contro" Israele, ma "fianco a fianco". In entrambi i movimenti c'erano "ultras". Da un lato, i "cattivi governi" di Israele, che hanno ambizioni espansioniste ingiuste. Dall'altra, l'OLP, che non sta combattendo per l'autodeterminazione palestinese, ma è un'organizzazione di "assassini", "terroristi fanatici", "fascisti", che combattono militarmente gli abitanti innocenti dietro il loro obiettivo "razzista" di distruggere Israele.

Tutta questa argomentazione sinistramente falsa, alimentata direttamente dallo stesso Israele, dalle sue ambasciate nei vari paesi e dall'imperialismo, ha un obiettivo molto chiaro: mascherare l'enorme ingiustizia, il crimine contro la democrazia che significa l'esistenza di Israele e colpire la lotta leale dei palestinesi, cercando di farli rinunciare a recuperare ciò che è democraticamente loro. , rinunciare al loro diritto di ritornare alle loro terre e di accettare come fatto irreversibile l'esistenza del "paese" degli invasori, Israele. La sua politica si riassume nella formula del "riconoscimento reciproco": che i palestinesi accettino il diritto di Israele di esistere come nazione, rinuncino alla giusta lotta per la sua distruzione.

In definitiva, questo sintetizza l'essenza del sionismo, che è sinonimo dell'esistenza di Israele. L'ala "destra" si accontenta di garantire la sua esistenza con i milioni di dollari che l'imperialismo, in particolare gli Stati Uniti, inietta ogni anno nell'economia israeliana per sopravvivere e con la forza militare del suo esercito. L'ala "democratica" cerca di adornarlo con il consenso di settori democratici e "di sinistra", e con una vernice "propalestina". Questa è, in ultima analisi, la sfumatura della differenza tra le due ali del fascismo sionista.

Ecco perché, compagni, noi rivoluzionari ripudiamo la formula sionista = fascista del "riconoscimento reciproco".

 

"riconoscimento che ricevo" = esistenza di Israele = fascismo.

 



[1] Da intendere maomettana come musulmana ( N.d.T.)

[2] Ribattezzate Falkland dagli inglesi.

mercoledì 30 giugno 2021

LEV KAMENEV IL RIVOLUZIONARIO

 



 

Quando si parla di bolscevichi famosi, il pensiero corre veloce verso Lenin o Trotsky, sono loro i rivoluzionari che si associano all’immaginario collettivo della Rivoluzione Russa. Tuttavia, il Partito Bolscevico era formato anche da altre personalità, da un gruppo di persone valide con grandi qualità, ed è all’interno di queste che si trova Lev Kamenev.

L’estrema sinistra, da sempre, ha visto come un elemento negativo Lev Kamenev. Il suo continuo oscillare tra Stalin e Trotsky lo ha, nei fatti, incasellato nei dirigenti ambigui, poco affidabili, di quelli che non è necessario ricordare. Kamenev fa parte ufficialmente del gruppo dei “deboli” politicamente, travolti dal potere, ma le cose nella realtà storica non stanno esattamente così, perché più di un merito gli va riconosciuto.

Sicuramente Kamenev è stato un rivoluzionario complesso, diviso tra luci ed ombre, ma alla fine della sua vita politica credo ci sia qualcosa da salvare. A quasi centoquarant’anni dalla sua nascita merita di essere ricordato.

La bussola del buonsenso storico per Kamenev è stata rimossa per far posto alla presunzione di colpevolezza. Kamenev ha tradito l’Opposizione a Stalin? Kamenev ha tradito Stalin? Come se la lotta tra rivoluzione (Trotsky) e controrivoluzione (Stalin) non fosse priva, almeno per chi è stato protagonista, di questioni personali, emozioni e sentimenti.

Eppure dovremmo capire che la verità, quando si tratta di grandi personalità segnate dai grandi avvenimenti della storia come Kamenev, può avere tante sfaccettature, e sarebbe il caso di imparare a conoscerle. Dovremmo provare a metterci nei panni di questi rivoluzionari che hanno cambiato il mondo. Compagni come Kamenev meritano un giudizio ulteriore e più approfondito, una sorta di supplemento d’indagine. Dobbiamo concedergli il beneficio del dubbio, dobbiamo dargli qualche attenuante per i suoi errori e dargli una valutazione più attenta e meno superficiale.

 

Lev Borisovič Kamenev (pseudonimo di Rozenfel'd) nasce in Russia, il 18 luglio 1883 da una famiglia di origine ebraica con simpatie rivoluzionarie. La madre aveva frequentato i corsi di laurea preposti per il genere femminile presso l’istituto Bestužev, a San Pietroburgo, il padre, invece era un ingegnere meccanico delle ferrovie. Il padre del futuro ambasciatore sovietico a Roma, durante i suoi studi universitari, ebbe tra i suoi compagni di studi il Populista russo Grinevickij (l’attentatore di Alessandro III vicenda che indubbiamente incise nella vita di Kamenev). Nel 1896 la famiglia Kamenev si stabilisce a Tbilisi, Lev frequenta il liceo e si avvicina alle posizioni radicali, una delle sue prime letture fu “il Programma dei lavoratori” di Ferdinand Lassalle. La repressione zarista è all’apice e sta travolgendo il movimento studentesco, nel 1900 molti studenti vengono arrestati e Kamenev, sospettato di simpatie rivoluzionarie, viene espulso dalla scuola a Tiblisi e gli viene precluso l’accesso universitario nella città georgiana. Successivamente Kamenev decide di trasferirsi a Mosca ove frequenta l’università di legge, ben presto la sua vena rivoluzionaria torna a battere e diviene uno dei leader del gruppo studentesco Zemljačestva.

La sua attività politica tra gli studenti gli vale, questa volta, l’arresto. Kamenev rimane in prigione un paio di mesi e poi viene rispedito a Tbilisi dove continua la sua attività di propaganda rivoluzionaria tra i ferrovieri. In questo periodo Kamenev fa la conoscenza di quello che sarà il suo futuro cognato, Lev Trotsky. Nell’Autunno del 1902 Kamenev, con Olga Davidovna (sorella di Trotsky e sua futura moglie) si trasferisce a Parigi. Nella capitale francese conosce Lenin ed entra a far parte del gruppo Iskra. La conoscenza di Lenin influenzerà notevolmente la vita di Kamenev, lui stesso definisce l’incontro con Lenin "il primo fattore determinante per il suo destino e le sue attività future". 1

La sua vita politica intanto si avvia verso la maturazione. Durante il secondo congresso del Partito Socialdemocratico Russo, nello scontro tra Lenin (Bolscevichi) e Martov (Menscevichi) si schiera con il primo con cui condividerà la politica, salvo rare eccezioni, per tutta la vita.

Dopo la “spaccatura” tra bolscevichi e menscevichi, Kamenev fa ritorno a Tiblisi dove è tra gli animatori dello sciopero ferroviario della transcaucasiatica, questo gli vale l’arresto (5 mesi di detenzione). Successivamente si recherà a Mosca. Kamenev oramai è un quadro e un leader riconosciuto del movimento rivoluzionario sovietico, la polizia zarista lo controlla ma nonostante la pressione “polizesca” continua a militare e a scrivere per i giornali bolscevichi. Lev Kamenev è un rivoluzionario molto apprezzato, in particolar modo da Lenin, per le sue capacità propagandiste. Proprio in quegli anni fa la conoscenza di un altro rivoluzionario che segnerà la sua vita (e la sua morte): Josif Stalin.

Nel 1908 viene arrestato nuovamente e dopo la sua scarcerazione si reca a Ginevra e diviene parte integrante del Comitato Editoriale del quotidiano il proletario. Troviamo Kamenev come delegato ai congressi della socialdemocrazia sia di Copenaghen (1910) che di Basilea (1912). Proprio in questi anni si dedica alla lotta contro i menscevichi. Nel 1914 il Partito invia Kamenev a San Pietroburgo per guidare la fazione bolscevica della IV Duma e la Pravda (organo ufficiale dei bolscevichi). Viene nuovamente arrestato ed esiliato in Siberia. Torna ancora a Pietrogrado dopo la Rivoluzione di febbraio del ‘17 che vede al potere il governo di centro sinistra guidato da Kersenskij.  Kamenev è il rappresentante dei bolscevichi nel Comitato Esecutivo del Soviet di Pietrogrado e in contemporanea iniziano le sue divergenze con Lenin.

L'influenza di Kamenev e Stalin, allora unici dirigenti di rilevo presenti in Russia durante il governo Kerenskij, porta il Partito bolscevico ad essere più l'ala sinistra della democrazia borghese che una forza rivoluzionaria, tanto che Lenin il 6 marzo telegrafa da Stoccolma a Pietroburgo alla sede della Pravda: «La nostra tattica è completamente suicida, nessun appoggio al governo Kerenskij... " Nelle sue memorie Suchanov scrive:" Nei bolscevichi in questo periodo, oltre a Kamenev, compare Stalin... Durante il tempo della sua modesta attività nel comitato esecutivo (egli) produceva - non su me solo - l'impressione di una macchina grigia, che a volte dava una luce smorta senza conseguenze. Di lui in sostanza non c'è più nulla da dire". Insomma un organizzatore dedito agli espropri e rapine con tendenze al riformismo, questo è stato Stalin.

L’opposizione di Kamenev a Lenin riguarda anche i Soviet e il loro ruolo. Per Lenin i Soviet sono un vero e proprio contropotere e rischiano di rovesciare da un momento all'altro il regime borghese di Kerenskij, Kamenev al contrario ha fiducia del governo provvisorio. Il ritorno di Lenin dall’esilio e la pubblicazione delle Tesi d'aprile non fanno che ribaltare l'impostazione politica del gruppo dirigente bolscevico presente in Russia. La "Pravda" diretta da Kamenev e Stalin si era rifiutata di pubblicare tre delle quattro "lettere da lontano" scritte da Lenin in esilio, secondo il quale non bisognava sostenere il governo provvisorio, ma occorreva preparare la rivoluzione proletaria, trasformare la guerra imperialista in guerra civile e rifiutarsi di cadere in un atteggiamento "socialpatriottico".
Con le Tesi d’aprile Lenin sostiene che bisogna passare alla rivoluzione socialista. I bolscevichi devono condurre l'agitazione tra le masse per convincerle della necessità della rivoluzione proletaria per fermare la guerra, assicurare il pane e dare la terra ai contadini. Le tesi di Lenin prevalgono nel partito dopo un serrato dibattito dai vertici alla base [2]. Kamenev non comprende immediatamente l’evoluzione di Lenin, non comprende il cambio di passo del vecchio rivoluzionario, non comprende il perché Lenin abbia improvvisamente sostenuto (in modo implicito) la “teoria della rivoluzione permanente” di Trotsky.

Nel 1917 - alla vigilia dell'insurrezione - scoppia tra i bolscevichi il caso "Zinoviev-Kamenev". Quando, nella metà del mese di settembre, Lenin propone al Comitato Centrale del Partito di orientarsi verso l'insurrezione armata, i soli a votare contro la proposta di Lenin sono Zinoviev e Kamenev. Ma la lotta dei due bolscevichi non si ferma qui - come sarebbe giusto in un partito comunista centralizzato democraticamente - e va oltre. Zinov'ev e Kamenev tentano la "destrutturazione" dell'azione bolscevica, guidata da Lenin e Trotsky, pubblicando su una rivista dal nome "Nova Zizn" (distante dai bolscevichi e diretta da Gorkij) tutte le loro avversità, considerando l'insurrezione "un atto disperato”. È così che a meno 10 giorni dalla presa del palazzo d'Inverno, Zinoviev e Kamenev svelano al mondo intero la tattica dei bolscevichi! Lenin reagisce deciso a questa presa di posizione definendoli "crumiri" e ne chiede l'espulsione, al contrario Stalin li difende [3].

Questa vicenda, il tradimento di Kamenev nei confronti della Rivoluzione Russa e nei confronti di Lenin ha segnato la vita politica di Kamenev, ne ha macchiato la sua fedina politica in modo quasi indelebile, lo stesso Lenin nel suo celebre testamento menziona l’avvenimento. Certo questo fu un errore ma al tempo stesso va ricordato l’impegno che Kamenev profuse durante e dopo la rivoluzione mettendosi al servizio del partito.

All'inizio del 1918 fu ambasciatore in Francia del Partito Bolscevico e negli anni, forse per farsi perdonare il vecchio scontro con Lenin sulla presa del potere si trasforma in un silenzioso esecutore della linea “leninista” del partito per il quale riceve incarichi di governo. Insomma un buon bolscevico, almeno sino alla fine del 22, quando con Zinoviev e Stalin, apre il fuoco contro Trotsky, dando il via alla lotta per l’egemonia nel partito.

certificato di morte di Lev Kamenev
Alla fine del 1922 Kamenev e Zinoviev spinsero nel partito affinché la nomina di segretario generale, fosse affidata a Stalin. Il segretariato di Stalin rappresentava la stanza dei bottoni del nuovo stato, conferendo a Stalin quegli immensi poteri di cui aveva già dato prova come ad esempio “nell’affare georgiano”, quando decretò l’annessione delle Georgia imponendo le sue decisioni al partito georgiano che era poco propenso ad allinearsi alle scelte di Mosca. Siamo alle origini dei metodi di Stalin..

In questa fase dobbiamo fermarci un momento e porci alcune domande. Come è stato possibile che un uomo mite come Kamenev si sia fatto trascinare in una lotta così dura e violenta nel partito? Come è stato possibile che Kamenev, cognato di Trotsky, abbia potuto lanciare una lotta spietata fatta di accuse personali e menzogne verso il fondatore dell’Armata Rossa?

Nel 1956, Solomon Asch, psicologo polacco, decise di studiare come le nostre decisioni possano essere influenzate dalle compagnie che frequentiamo [4]. Questo, forse, ha inciso un po’ nella vita politica di Kamenev, ovvero le “cattive compagnie”[1] . La frequentazione e lo stretto legame che aveva con Zinoviev furono probabilmente decisive. Zinoviev era convinto di poter dominare Stalin e di essere investito quasi in modo messianico dalla “successione” di Lenin, e non avendo dei metodi propriamente democratici decise di raggiungere tale obiettivo eliminando politicamente la personalità più influente del bolscevismo dopo Lenin, ovvero Trotsky. Kamenev probabilmente, come spesso accade in politica, si è fatto convincere da Zinoviev o meglio dall’affetto che nutriva per Zinoviev più che dalla giustezza delle sue posizioni, forse questo è stato l’errore di Kamenev, un errore, se così lo possiamo definire, di leggerezza.

Si crea quindi nel 1923 una sorta di direttorio a tre formato da Zinoviev, Kamenev e Stalin con due obbiettivi strettamente connessi tra loro: il primo è stabilizzare e gestire il potere nel partito, il secondo è limitare il ruolo di Trotsky all'interno dei PCbR. In particolar modo per arginare l'enorme influenza di quest'ultimo nella società sovietica Kamenev e gli altri hanno bisogno di un pretesto politico e lo trovano nel passato del loro antagonista... il menscevismo.

Si apre così un vero e proprio fuoco incrociato contro Trotsky. Una vera e propria ondata di calunnie diffamatorie nei confronti del fondatore dell'Armata Rossa.

La situazione politica comunque è in evoluzione, non dura a lungo e la Troika si sfalda. La teorizzazione del "Socialismo in un solo paese" fatta dal Stalin (che sappiamo imboccato dalla destra buchariniana) e la galoppante burocratizzazione del partito, fanno cambiare a Kamenev e a Zinoviev posizione. Sia Kamenev e Zinoviev capiscono di non essere stati in grado di controllare Stalin anzi di essere stati proprio da lui manovrati. A questa difficoltà di gestione del partito si somma anche la “formalizzazione” del processo burocratico del partito. Il socialismo in un paese solo rappresenta la tomba dell’internazionalismo e del bolscevismo, Kamenev ne è lucidamente cosciente. Kamenev e Zinoviev decidono di allearsi  questa volta con Trotsky  per combattere Stalin e danno vita nel 1925 a quella che fu poi definita “l’Opposizione Unificata”.

Kamenev - con infantile ottimismo - si rivolge a Trotsky poco prima di iniziare la battaglia contro l'apparato stalinista: "Basta che voi vi mostriate con Zinov'ev sulla stessa tribuna; il partito troverà subito il suo comitato centrale" [5].

Contemporaneamente, davanti al partito, Zinoviev fa retromarcia su Trotsky ammettendo di aver denunciato e inventato il trotskismo come campagna strumentale di accusa politica nel 23 e nel 24. "Ricominceremo il movimento di Zimmerwald" questo era l'ottimismo di Zinoviev dai ricordi di Serge. Ma la storia non perdona e l’opportunismo ideologico in politica si paga sempre, Stalin finisce per vincere, la burocrazia prende il sopravvento e Kamenev capitola.

Dopo aver perso la battaglia politica contro Stalin e aver visto fallire la rivoluzione Cinese, Kamenev a poco più di 10 anni dalla rivoluzione russa cede a Stalin e alla controrivoluzione politica. Sarà sino alla sua morte un politico senza anima nelle mani Stalin. L’opposizione unificata viene cancellata prima politicamente e poi fisicamente. Kamenev viene accusato di essere un traditore, di essere un terrorista, di aver voluto attentare alla morta di Stalin e di essere colpevole della morte di Kirov. Kamenev, forse per la paura di perdere i suoi famigliari, o per le torture subite, decide di confessare tutti gli assurdi crimini di cui venne accusato. 

Kamenev lo vediamo così tra i protagonisti nell'agosto del 1936 del "processo dei Sedici. Kamenev e altri vengono accusati di aver dato vita ad un'organizzazione terroristica, detta "centro trockista-zinovievista", che oltre ad aver ucciso Kirov, progettava anche di assassinare Stalin ed altri leader sovietici. Durante tutto il processo, Kamenev e gli altri imputati continuarono a confessare questi crimini con una docilità che lascia a bocca aperta. Il linguaggio del processo era macchinoso, quasi recitato in una farsa nella quale si contrapponeva il bene contro il male, Naturalmente il male era nutrire dei dubbi nei confronti della politica “infallibile” di Stalin.

 

Riportiamo alcuni stralci del processo:

 

Vyshinskij (procuratore del processo, ex menscevico): confermate, dunque, che esisteva questo piano mostruoso (costruzione di un centro terroristico trotskysta-zinovievista)?

Kamenev: Si, questo piano mostruoso esisteva.

V: Riconoscete, adesso, di avere elaborato tale piano?

K: Si, lo riconosco.                                                                                                                                                                          

Nel corso dell’interrogatorio di Reingold risultò poi che egli[2]  ha avuto da Kamenev e Zinoviev una serie di mandati di fiducia, soprattutto quello di costruire all’estero un fondo speciale per il finanziamento dell’organizzazione terroristica, nell’eventualità che Kamenev e Zinoviev fossero espulsi all’estero.

V: Imputato Kamenev, questo incontro ha avuto luogo?

K: Fu nel ’29 quando io e Zinoviev pensavamo di poter essere esiliati come Trotsky e per questo giudicavamo indispensabile la costruzione all’estero di un fondo per sostenere e continuare il lavoro che facevamo in patria [6]

Tra gli osservatori del processo molti dubbi venivano sollevati, possibile che i più stretti collaboratori di Lenin fossero in combutta con i nazisti? Possibile dopo aver criticato per tutta la vita il terrorismo individuale si siano dedicati ad esso? Come poteva fare questo Kamenev? Tutto questo si sommava a grossolani errori come quando venne dichiarato alla corte che il figlio di Trotsky (Lev Sedov) aveva ordinato gli omicidi in una riunione tenutasi, negli anni ’20, presso l’Hotel Bristol in Danimarca, peccato che quell’Hotel era stato demolito nel 1917. Insomma una farsa dilettantistica.

 

LA FUCILAZIONE

Il 25 agosto del 1936 Kamenev e Zinoviev vennero presi dalle loro celle e condotti giù dalle scale della Lubijanka, con loro vi erano Jagoda ed Ezov i capi della polizia politica sovietica. Tutto era pronto per l’esecuzione, Zinoviev era molto agitato stando da quanto riportato da alcuni testimoni [7], si gettò ai piedi delle guardie sovietiche implorando pietà «Vi prego compagni, chiamate Iosif Vissarionovich, aveva promesso di risparmiare le nostre vite!». Kamenev invece rimase impassibile: «È quanto ci meritiamo per l’atteggiamento meschino che abbiamo avuto durante il processo». Disse a Zinoviev di mantenere la calma, invito che cadde nel vuoto. Zinoviev fu trascinato in un’altra stanza e subito fucilato, Kamenev poco dopo. Si dice che Jogoda, allora capo della polizia politica sovietica, estrasse i proiettili dai corpi di Zinoviev e Kamenev e li conservò come macabre reliquie etichettandoli con i lori nomi.

LA FAMIGLIA

La prima moglie di L. B. Kamenev è la sorella di L. D. Trotsky, Olga Davidovna Bronstein (1883-1941), fu fucilata nella foresta di Medvedev vicino a Orel insieme ad altri rivoluzionari e oppositori al regime di Stalin. Entrambi i loro  figli - Alexander Kamenev pilota e Yuri Kamenev - furono fucilati, colpevoli di essere i figli di Kamenev, nipoti di Trotsky e di aver espresso il proprio dissenso per la morte del padre.

La seconda moglie, Tatyana Ivanovna Glebova, fu anche lei fucilata. Il figlio nato dalla loro unione, Vladimir Lvovich Glebov , finì prima in un orfanotrofio per poi essere arrestato nel 1950 e condannato a 10 anni di prigionia. Fu rilasciato nel 1956 durante la destalinizzazione e in seguito ebbe una discreta carriera universitaria. Morì nel 1994.

 

HANNO DETTO DI LUI

Il 28 ottobre (15) ho parlato in uno dei corridoi dello Smolny con Kamenev, un uomo basso di statur,a con una barba rossastra e delle movenze vivaci. Non era del tutto sicuro che ci sarebbero stati abbastanza delegati per la convention. "Se il congresso avrà luogo", ha detto, "rappresenterà lo stato d'animo principale del popolo. Se la maggioranza, come credo, andrà dai bolscevichi, allora chiederemo che il governo provvisorio si dimetta e trasferisca tutto il potere ai Soviet. "

John Reed Dieci giorni che fecero tremare il mondo

 

Di per sé, non è una persona assetata di potere, bonaria e piuttosto "borghese". È vero, è un vecchio bolscevico, ma non un vigliacco...

È un uomo intelligente, colto, con le doti. Se non ci fosse stato il comunismo in Russia, sarebbe un buon ministro socialista in un paese capitalista.

B. G. Bazhanov Memorie dell'ex segretario di Stalin

Sia Zinoviev che Kamenev erano teoricamente e politicamente superiori a Stalin, anche se mancava loro quello piccola cosa che si chiama carattere.

Lev Trotsky  La mia Vita

 

IL GIUDIZIO FINALE

Il giudizio su Lev Kamenev è complesso da dare, difficile da definire, ma come migliaia di comunisti uccisi e colpiti dallo stalinismo merita la sua riabilitazione. Certamente la sua visione di centro sinistra (dentro le correnti del Partito bolscevico) non era una linea politica vincente. Si è sempre appoggiato al centro di Stalin o alla sinistra di Trotsky, tuttavia Kamenev era ed è stato un rivoluzionario che non ha accettato il socialismo in un paese solo, non ha accettato l’evoluzione stalinista, seppur all’inizio ne sia stato uno dei maggiori sponsor.

Kamenev ha dedicato la sua vita alla rivoluzione e la rivoluzione non divora i suoi figli come credono i borghesi, se li pappa tutti purtroppo la controrivoluzione. Kamenev è stato tra i primi a morire perché ha pagato oltremisura i suoi errori. Proprio per questo merita il nostro rispetto e il giusto posto nella nostra storia.

Eugenio Gemmo

 

 

 

1 https://it.wikipedia.org/wiki/Lev_Borisovi%C4%8D_Kamenev

2 http://trotskysmo.blogspot.com/search?q=rivoluzione+russa

3  http://trotskysmo.blogspot.com/search?q=zinoviev

4 https://www.psicofaber.it/quanto-ci-facciamo-condizionare-dagli-altri/

5 Broue La Rivoluzione Perduta

6 I Grandi processi di Mosca. Rusconi

7 Gli Uomini di Stalin. S. Montefiore



Portogallo: a 50 anni dalla rivoluzione dei garofani

Riportiamo un articolo pubblicato dalla UIT perché ci sembra un contributo utile per la comprensione storica degli avvenimenti in questione ...