sabato 1 maggio 2021

CONDANNATO IL POLIZIOTTO RAZZISTA CHE ASSASSINÒ GEORGE FLOYD


di Simón Rodríguez, dirigente UIT-CI



Il 20 aprile, l’ex poliziotto Derek Chauvin è stato condannato per l’assassinio di George Floyd. Una giuria l’ha dichiarato colpevole delle tre imputazioni: omicidio colposo, di secondo grado preterintenzionale e di terzo grado. La lettura del verdetto è stata trasmessa per televisione, che ha mostrato anche il momento in cui un inespressivo Chauvin veniva ammanettato e allontanato dall’aula scortato dagli agenti per essere trasferito in carcere.

Si è indubbiamente trattato di una vittoria della rivolta antirazzista dell’estate dell’anno scorso, durante la quale sono scesi in piazza più di venti milioni di persone in cortei giganteschi in centinaia di città di tutti gli Stati del Paese, incuranti della repressione della polizia e della Guardia nazionale, incendiando commissariati e rovesciando statue e monumenti razzisti.

Ci si attende che la pena, che dovrà essere stabilita da un giudice nelle prossime settimane, sia di più di dieci anni di detenzione. La sentenza è stata pronunciata dai giovani e dalle comunità che hanno constatato che con le loro mobilitazioni si è potuta aprire una breccia nelle pratiche di istituzioni razziste fin nel midollo. Si è trattato di una svolta storica. Secondo l’Unione Americana per le Libertà Civili è la prima volta nella storia dello Stato del Minnesota che un poliziotto bianco è stato condannato per l’assassinio di un uomo di colore in sua custodia.

Si stima che poco più del 1% delle denunce di brutalità poliziesca sfoci in qualche tipo di sanzione in questo Stato. La polizia impiega metodi violenti sette volte più frequentemente contro neri che contro bianchi nella capitale statale, Minneapolis. Ma nel resto del Paese le cose non sono diverse. Fra il 2005 e il 2017 sono state assassinate circa mille persone all’anno dalla polizia degli Stati Uniti. In tutto questo periodo, solo 29 poliziotti sono stati condannati per omicidio volontario o preterintenzionale (BBC, 15/4/2021).


LA MOBILITAZIONE HA SCONFITTO L’IMPUNITÀ
 
La prima informativa della polizia sui fatti di quel 25 maggio 2020 è stata un tentativo di insabbiare l’assassinio di Floyd. Secondo quel documento, l’arresto era stato realizzato senza incidenti, ma quando gli agenti si erano resi conto che il “sospetto” sembrava “versare in condizioni di salute precaria”, chiamarono i soccorsi: inutilmente però, dato che egli morì in seguito in ospedale.

L’assassinio di Floyd, che era stato accusato di aver comprato un pacchetto di sigarette con una banconota da 20 dollari falsa, fu documentato da video girati da diverse persone, tra cui un’adolescente, e tutto il mondo ha potuto guardare pressoché in diretta il crimine. Per nove minuti Floyd venne soffocato da Chauvin coadiuvato da altri tre agenti, il cui processo sarà celebrato nei prossimi mesi. Le prime dichiarazioni della procura locale lasciavano intendere che nessun poliziotto sarebbe stato indagato. Ma le proteste di massa cambiarono tutto. Alla fine, la polizia ha cercato di ripulire la propria immagine testimoniando contro Chauvin e accusandolo di aver violato i procedimenti stabiliti: una cosa cui molto raramente è dato assistere nei tribunali, data la complicità corporativa del corpo di polizia e la sua ideologia razzista. 



SOLLIEVO E NERVOSISMO TRA I CAPITALISTI

 
Il presidente Biden si è mostrato “sollevato” per la condanna, rispecchiando la reazione più diffusa tra i capitalisti, timorosi per un nuovo scoppio di rabbia popolare se il razzista Chauvin fosse stato assolto. Per la corrente politica liberale della borghesia imperialista che egli rappresenta, la cosa più importante è ricomporre la fiducia nelle istituzioni repressive e giudiziarie, dimostrando che il sistema giudiziario “funziona”. Con astuto cinismo, Biden vuole addirittura intitolare a George Floyd una legge di riforma della polizia. Durante le proteste antirazziste dell’anno scorso la raccomandazione di Biden alla polizia fu di non sparare per uccidere ma di “mirare alle gambe”.

Come parte dello sforzo per ripulire la faccia del regime, il procuratore generale Merrick B. Garland ha annunciato, all’indomani della sentenza contro Chauvin, che sarà aperta una nuova indagine su impulso del Dipartimento di Giustizia, oltre all’indagine federale sull’assassinio di Floyd, per verificare se il Dipartimento di polizia di Minneapolis compie pratiche incostituzionali o illegali, se ci sono standard di brutalità repressiva, discriminazione o altre prassi. Normalmente, questo tipo di indagini sfocia in negoziati per riforme, sicché il loro senso è più politico che propriamente giudiziario. Ecco perché Garland insiste nel ritornello liberale per cui la maggioranza dei poliziotti agisce “onorevolmente” ed è a favore di una riforma.

Ma altri settori non riescono a nascondere il proprio disappunto rispetto alla clamorosa vittoria della lotta antirazzista. L’editoriale del Wall Street Journal del 20 aprile si doleva del fatto che la condanna di Chauvin non sarà vista come la dimostrazione che il sistema funziona, ma come il trionfo delle proteste “illegali”. Questo settore conservatore comprende che la lezione che milioni di persone hanno tratto da questa esperienza non è la più conveniente per la borghesia.

Mentre parla di riforme e di superamento del razzismo, il regime continua a stringere la morsa con la recente approvazione di ventinove leggi statali repressive che colpiscono il diritto di inscenare proteste. E il numero di nuove leggi antidemocratiche potrebbe salire a un centinaio se verranno approvati i progetti attualmente in discussione. Ad esempio, una di queste leggi, promulgata in Florida il giorno prima della sentenza contro Chauvin, consente di punire individui che abbiano partecipato a manifestazioni in cui vi siano state violenze anche se quegli stessi individui non abbiano personalmente commesso alcun atto di violenza.


I COMPITI PENDENTI
 
Restano impunite migliaia di omicidi razzisti altrettanto brutali di quello perpetrato contro George Floyd, benché non tutti siano stati filmati. La battaglia per far giudicare e arrestare i poliziotti razzisti e assassini continua, rafforzata dalla condanna a Chauvin. Né deve dimenticarsi che durante le proteste antirazziste del 2020 vi sono state migliaia di arresti, con centinaia di persone potate a processo, di cui molte ancora detenute. È importante continuare nella lotta per un’amnistia generalizzata per tutti i combattenti antirazzisti. Così come resta attuale la rivendicazione di tagliare drasticamente i bilanci della polizia per reinvestire i fondi nella necessaria assistenza sociale in questo quadro di crisi economica.

Le illusioni nel fatto che la condanna di Chauvin segni una svolta – illusioni alimentate da Biden, dal suo governo del Partito democratico e da altri politici del sistema – non hanno fondamento reale. La brutalità poliziesca razzista non si è fermata. Solo poco più di un mese fa, proprio nei pressi del tribunale che ha condannato Chauvin, è stato assassinato Daunte Wright, un afroamericano di vent’anni, fermato per una targhetta di convalida dell’immatricolazione dell’auto scaduta. Quasi nello stesso momento in cui veniva pronunciato il verdetto di condanna di Chauvin, a Columbus (Ohio), alcuni poliziotti hanno ucciso con quattro colpi di pistola Ma’hkia Bryant, un’adolescente di colore che in una lite in atto aveva chiamato la polizia perché intervenisse. Dopo l’assassinio, un poliziotto ha gridato “Blue Lives Matter!” (le vite delle persone in blu contano[1]), slogan utilizzato dall’estrema destra per rivendicare la brutalità razzista della polizia.



LA BODYCAM DEL SECONDO UFFICIALE DI POLIZIA MOSTRA L’UCCISIONE DI MA’KIA BRYANT
 
La realtà è che ci sono negli Stati Uniti circa 800.000 agenti di polizia, un autentico esercito il cui nemico sono le classi popolari povere e i lavoratori che i capitalisti hanno bisogno di tenere a bada nel quadro dell’abissale diseguaglianza sociale, private dei diritti sociali come l’accesso alla sanità pubblica gratuita, con salari miserabili e con contratti di lavoro precari. I settori più oppressi e sfruttati della classe lavoratrice sono gli afroamericani, gli immigrati e gli indigeni, contro i quali si accanisce la violenza organizzata dello Stato capitalista, indifferentemente se a governare sono i democratici o i repubblicani.

Nessuna riforma della polizia ha la possibilità di modificare questa funzione dell’apparato repressivo capitalista. È questo ciò che alimenta il legittimo odio dei giovani nei confronti della polizia e il desiderio di eliminarla che è alla base della rivendicazione di abolirla. Ma il governo capitalista e imperialista di Biden, per quanta pressione possa essere esercitata su di esso, non realizzerà alcuna riforma che cambi la funzione sociale della polizia, né tampoco intende abolirla rinunciando così a uno strumento fondamentale per mantenere in funzione i meccanismi dello sfruttamento. A Minneapolis, nel vivo delle proteste, il consiglio comunale ha dichiarato che avrebbe eliminato il corpo di polizia sostituendolo con una forza comunitaria. Non appena sono cambiati i rapporti di forza nelle strade, il progetto è stato immediatamente abbandonato.

La rivolta antirazzista ha ottenuto che Chauvin fosse condannato. Ha rappresentato un fattore decisivo per la sconfitta politica ed elettorale di Trump, nonché una fonte di ispirazione per i combattenti di tutto il mondo. I frutti di questa battaglia non sono ancora stati colti e molte altre lotte ci attendono. Quello della distruzione della polizia è un compito rivoluzionario che solo i lavoratori, i giovani e le comunità oppresse potranno portare avanti nella misura in cui riusciranno a costruire le proprie organizzazioni politiche e a difendersi dalla violenza dei capitalisti e dei loro governi: in ultima analisi, instaurando un potere operaio e popolare. Solo allora potremo dire che è stata fatta giustizia per le vittima di questo sistema di oppressione e sfruttamento.

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