Nel gennaio del 1936 il
capo della sezione politica segreta dell NKVD[1] Molcanov ha riunito
una quarantina dei suoi migliori agenti comunicadogli che saranno impegnati in
un caso di cospirazione. Il loro compito è quello di ottenere delle confessioni,
a qualunque costo delle confessioni dei più illustri tra i vecchi dirigenti
bolscevichi. Stalin in prima persona si occupò di seguire la vicenda[2].
L'opposizione unificata in URSS era ormai politicamente e fisicamente
distrutta: Zinoviev, Kamenev e altri migliaia di veri bolscevichi erano in
prigione o nei gulag da tempo, mentre Trotskij era in esilio da quasi dieci
anni. La macchina guidata da Stalin, al contrario, stava diventando un vero e
proprio “tritacarne di rivoluzionari”.
Il massacro iniziò. Circa trecento detenuti furono prelevati dai
campi o dalle prigioni: bisognava (compito primario del NKVD) tirare fuori una
trentina di confessioni per poter far pressione poi sugli altri oppositori come
in un macabro gioco all'incastro. Chi si rifiutò venne eliminato immediamente e
solo le "confessioni" estorte appariranno agli atti del processo. Non
tutto, però, filò come previsto da Stalin: i vecchi dirigenti del partito
Bolscevico opposero una strenua resistenza. La tortura non bastò, si dovette
ricorrere ad altro: Zinoviev, ad esempio, poichè soffriva di asma, venne tenuto
per giorni in una cella riscaldata all’eccesso[3]. Macrokskij
cedette solamente dopo 90 ore continue di interrogatorio; Smirnov tenne duro
sino alla fine, finchè non vide la figlia portata via dagli sbirri Stalinisti[4];
infine anche il propagandista Ter Vaganin dovette cedere[5]. Ora
tutto era pronto: Stalin stava per cancellare non solo la storia del
bolscevismo, ma anche i suoi uomini.
L’inizio dei processi
Il primo processo di Mosca si aprì il 19 agosto. Tra i banchi
degli imputati comparvero Zinoviev, Kamenev, Ter Vaganian, Smirnov, ed alcuni
collaboratori di Lenin come Evdokimov, Bakev ed altri. Ma tra gli stessi banchi
degli imputati sedevano dei provocatori stalinisti, sconosciuti ai membri
dell'opposizione. Trotskij vedendo le foto dei giornali ricercò le facce di un
Mill, di un Well... (sic!).
A dirigere il processo contro gli accusati, una sorta di pubblico
ministero, è Andrej Januarevic Visinskij, ex menscevico passato nelle file del
bolscevismo alla fine della guerra civile, rettore all'Università di Mosca e
già noto per la caccia ai trotskisti. Una parentesi su Visinskij è dovuta. Nel
1988 un noto giurista sovietico, Arkadi Vaksberg, in un articolo su
"Liturjna Gazeta" ha fornito qualche altro dettaglio biografico su
Visinskij: fu presidente del tribunale distrettuale nel 1917, il quale emise,
durante la sua direzione, un mandato di cattura contro Lenin accusato di
essere, pensate un po’, un "agente tedesco"! Insomma Stalin scelse
l'uomo giusto per questo processo. Visinskij, non avendo potuto fucilare Lenin
in persona, riverserà il suo odio contro i principali collaboratori di
quest’ultimo. Il "cacciatore di Lenin" si scagliò contro gli
accusati, definedoli "cani rabbiosi, degenerati, etc". Visinskij creò
un nuovo tipo di processo penale, fino ad allora sconosciuto, in cui non vi era
assolutamente bisogno di prove. A cosa servono le prove quando si tratta di
"fetide carogne"[6]?
Il capo d'accusa era tanto ovvio quanto inverosimile: gli accusati
avevano dato vita, dal 1932, ad un centro "zinovista-trotskijsta" di
matrice terroristica, votato alla pratica del terrore individuale "contro
i dirigenti del Partito". Si sostenne, sempre sotto l'egemonia giudiziaria
del "cacciatore", che essi avevano progettato una serie di attentati
terroristici contro Vorisolov, Stalin ed altri dirigenti di apparato e che loro
era stata anche la regia dell'attentato di Kirov. Tutto ciò ovviamente (e ci
mancherebbe altro), eterodiretto da Trotskij.
L'epicentro delle confessioni fu l'imputato Holzman. Questi era
stato l'intermediaro tra Sedov (figlio di Trotskij) e Smirnov. Egli affermava
di aver incontrato Sedov più volte, anche a Berlino, e di aver ricevuto da lui
biglietti criptati, messaggi in codice. Asseriva inoltre di essersi recato a
Copenhagen, su consiglio di Sedov, nel 1932, contestualmente al soggiorno
danese di Trotskij. Dopo aver incontrato Sedov nella hall dell'Hotel Bristol,
disse di essersi recato nella presunta residenza di Trostkij (sulla quale non
fornì nessun dettaglio) e di aver ricevuto da Trostkij in persona l'ordine di
uccidere Stalin.
L'imputato Louriè sostenne che Trostkij complottava con un uomo di
Himmler, capo delle SS. David "confessò" che Trotskij, nel corso di
un incontro (anche qui senza specificare nè dove, nè come, né quando) gli
avrebbe ordinato di uccidere Stalin durante il XVII congresso.
Le purghe staliniste
Ma per comprendere a fondo il fenomeno dei processi di Mosca, che
tra poco riprenderemo, è utile soffermarsi su come l'apparato trita uomini
guidato Stalin stava, tra una purga e l'altra, dissolvendo il partito. Che fine
facevano gli uomini che, in un modo o nell'altro, cercavano seppur cautamente
di opporsi al regime?
Alcuni cercarono di utilizzare le stesse armi dell'NKVD, ovvero
l'accusa inesistente, per tentare di arrestare la logica repressiva dei
processi. Questo è il caso del Commissario del Popolo alla Sanità, Kaminiskij,
il quale accusa Berja (vice di Ezov) di essere stato al soldo di un’organizzazione
nazionalista armena. Kaminiskij venne preso e fucilato. Poi fu la volta di
Postyscev, che espresse anche egli forti dubbi sulle modalità dei processi:
Postyscev venne destituito e fucilato dopo mesi di sofferenze. Stalin intanto
si era sbarazzato anche del suo vecchio amico Sergej Ordzonikdze, di cui aveva
poco prima fatto fucilare il fratello maggiore Papulja. Il 16 febbraio del ’37,
l'NKVD compì una perquisizione in casa di Sergej. Egli dunque chiamò adirato
Stalin: “L'NKVD potrebbe benissimo compiere una perquisizione anche in casa
mia, non si sa mai” gli rispose Stalin, “Non c'è niente di strano”[7].
Il 17 febbraio Sergej andò da Stalin ed ebbe con lui una agitata discussione.
Forse era pronto a rompere con lui pubblicamente. Tornò a casa e trovò l'NKVD che
gli propose di suicidarsi. Il dottor Levin attendeva nell'anticamera per
certificare la morte per problemi cardiaci. Questo egregio medico verrà
fucilato anch'esso durante il terzo processo di Mosca. Ancor prima di Sergej,
Stalin aveva fucilato suo cognato Aliosa Svanidze, con il quale avevano spesso
diviso la cena[8]. Inoltre, nel giugno del ’37, un processo a porte
chiuse (per evitare ulteriori gaffe) libera Stalin dai dirigenti georgiani:
Mdivani, Enukidze, etc.
Un esempio ancora più grottesco della paranoia dell'attentato che
colpisce Stalin ce lo fornisce la storia della sua bibliotecaria. Ella, che per
usare un eufemismo “era un po' in là con gli anni”, organizza (così si convince
Stalin) un complotto per ucciderlo in combutta con due ufficiali della Guardia
del Cremlino: Rjabanin e Cerniavskij. Ma il paradosso non finisce qui: la
polizia segreta questa volta non scopre nulla. Stalin allora si presta al ruolo
di funzionario dell’NKVD ed in quattro e quattr’otto smaschera tutti i
cospiratori e li fa fucilare[9].
Infine, prima di tornare al secondo processo, un ultimo accenno
alle epurazioni di Stalin nelle file dell'esercito, dopo aver sterminato
l'intero apparato di partito. L'odio che investe Stalin nei confronti del
Maresciallo Tuchaceveskij (probabilmente perchè più di una volta il maresciallo
aveva evidenziato le responsabilità di Stalin sulla questione polacca) lo porta
ad ammazzargli la moglie, la madre, la sorella e i due fratelli. Non contento,
fa poi deportare altre tre sue sorelle.
Per concludere, il glorioso Maresciallo aveva una figlia troppo giovane per
essere deportata, così Stalin la fa rinchiudere in un asilo e la farà deportare
una volta raggiunta la maggiore età[10].
Le purghe colpiranno proprio tutti: in Bierolussa la metà dei
membri del partito viene spazzata via e simile sorte tocca anche all'Ucraina.
Nell'estate del ’37 Stalin fece uscire di prigione Rykov e
Bucharin, in prigione dal secondo processo, e li fece condurre di fronte al
Comitato Centrale. Essi si rifiutarono di confessare i loro presunti crimini.
Stalin non ebbe pietà: "Riportateli in prigione, che si difendano
laggiù"[11]. Bucharin, Rakoskij, Rykov ed altri furono messi a
tacere nel terzo processo.
Il secondo processo
Abbiamo visto le accuse del primo processo, le purghe tra un
processo e l’altro e il relativo metodo del terrore (che colpì addirittura
l’anziana bibliotecaria) tipico di un vero serial killer. Ora non ci resta che
analizzare il secondo processo e la commissione Dewey.
Nel ’37 si aprì il secondo processo. Tra i diciotto imputati
figuravano: Pjatakov, Radek, Serebriajkov, Drobnis, Muralov ed altri. Furono
accusati di aver costituito un centro di "riserva" (ovviamente) di
matrice terroristica zinovista-trotskista, in sostituzione al primo, azzerato
dal primo processo. L’accusa tende a dimostrare che Trotskij siglò un accordo
con la gerarchia nazista e che gli accusati agivano in accordo con lo
spionaggio tedesco. Uno di loro, forse per originalità, era una spia
giapponese. Tutti gli accusati (grande intuizione di Stalin) avevano compiuto,
al contrario del primo processo, gravi sabotaggi. Tra deragliamenti di treni e
manomissioni industriali, i vecchi rivoluzionari sarebbero diventati, in pochi
mesi, gli ispiratori futuri di Tom Cruise nella celeberrima saga "Mission
Impossible". Tredici degli accusati furono condannati a morte. Stalin
aveva definitivamente polverizzato qualsiasi etica e l’intera storia
rivoluzionaria.
La commissione Dewey
Trotskij, travolto dalle menzogne, spinse alla formazione di una
commissione d'inchiesta diretta da Dewey. Il risultato, dopo numerose udienze,
fu inequivocabile: non colpevole!
Nella contro-inchiesta venne dimostrato, senza possibilità di
smentita, che Sedov non poteva essere a Copenhagen alla data in cui Holzman
sosteneva lo avesse accompagnato da Trotskij. Dimostrò quindi che Holzman non
si era recato a Copenhagen e che non aveva dunque potuto incontrare Trotskij,
nè riceverne presunte direttive terrorsitiche. La riprova viene dal paradosso
che la demolizione dell’Hotel Bristol (in cui gli stalinisti sostenevano che Holzman
avesse incontrato Sedov) era avvenuta nel 1917 (difficile incontrare qualcuno
in una hall di un albergo demolito ben 15 anni prima). Allo stesso modo,
basandosi non solo sulle testimonianze ma anche sulla documentazione ufficiale
proveniente dalle autorità francesi, la commissione dimostrò l'impossibilità
dell'incontro che Trotskij avrebbe avuto, sempre secondo le infallibili
confessioni di Mosca, con il giornalista sovietico Romm al Bois de Boulogne:
anche qui si dimostra come Trotskij (già in esilio controllato) non poteva
essersi recato a Parigi. Assieme dunque all'incontro con Romm, spariscono anche
le "istruzioni terroristiche" che egli avrebbe consegnato perchè le
trasmettesse a Radek. Inoltre venne smentita anche la possibilità stessa del
viaggio aereo di Pjatakov da Berlino ad Oslo nel dicembre del 1935, mostrando
come le confessioni di quest'ultimo fossero totalmente inventate, nonostante
gli sforzi dei lacchè di Stalin per riattoparle. Con l'impossibilità di questo
viaggio caddero anche le pretese confidenziali di Trotskij sui rapporti con i
nazisti, nonchè l'organizzazione da parte dei nazisti del viaggio di Pjatakov.
La determinazione della commissione Dewey ebbe i suoi effetti sino
a prima dell'implosione dello stalinismo. Se nel 1988 in URSS rivoluzionari
come Bucharin, Rykov, Rakosvskij e altre vittime dei processi di Mosca sono
stati riabilitati, è merito anche di Dewey e delle sue inchieste.
Stalin da allora in poi preferì assassinare in segreto i suoi
uomini ed annunciare solo quando voleva, come un novello Tomás de Torquemada,
la confessione.
Perché i rivoluzionari confessarono
Si tratta di una domanda spinosa, in cui si sono riversate
molteplici risposte tra cui quella proposta da Arthur Koestler nel libro
"Mezzanotte nel secolo", scritto nel 1939, in cui Rubachov, uno
degli imputati al processo, ricorda fortemente Bucharin: i metodi violenti,
dunque, si aggiungono all´intimidazione psicologica.
Nel 1936, poco dopo il primo processo, Leon Sedov scrisse il Libro
rosso sul processo di Mosca, piccola pubblicazione diffusa allora dal movimento
trotskista francese. Sedov scrive: "No, sul banco degli imputati c´erano
soltanto le ombre dello Smirnov della guerra civile o dello Zinovev dei primi
anni dell´Internazionale Comunista. Sui banchi degli imputati c´erano uomini
infranti, schiacciati, finiti. Prima di ucciderli fisicamente, Stalin li aveva
spezzati moralmente". Dopo aver dimostrato come Stalin avesse raggiunto i
propri scopi "con prudenza, progressivamente, sospingendo la gente
gradatamente, sempre più in basso", continua: "Per questo è
superficiale paragonare il comportamento degli imputati di Mosca a quello
tenuto di fronte ai carnefici fascisti da alcuni coraggiosi militanti. Questi
non erano frustrati da un decennio di predominio stalinista; non erano isolati
come le vittime di Stalin, sentivano dietro di sé il sostegno del proletariato
mondiale". In più, sempre Sedov, fa notare che solo i militanti che hanno
"confessato" hanno avuto diritto al processo; gli altri, la maggioranza,
sono stati fucilati.
Trotskij, dopo il secondo processo, nel 1937, scrisse "I
Crimini di Stalin", in cui dà una spiegazione dei due processi avvenuti e
ne prospetta un altro: "Gli ingenui domandano: come fa Stalin a non avere
paura che le vittime denuncino il falso in udienza? Un rischio del genere è del
tutto insignificante. La maggior parte degli imputati tremano non solo per sé,
ma anche per i propri familiari. Non è facile decidersi a sfruttare l´udienza
per la denuncia se si ha una moglie, un figlio, una figlia, nelle mani della
GPU. Le confessioni "spontanee" di ogni imputato sono la semplice
prosecuzione delle sue abiure precedenti. Come convincere il pubblico e
l´umanità intera che per dieci anni non si è fatto altro che calunniare se
stessi?".
Note:
1. ^ “Commissariato del Popolo per gli Affari Interni”, ovvero la
Polizia Segreta sovietica
2. ^ Krivitiskij - op. cit., pp. 218-225
3. ^ A. Orlov - Secret History of Stalin's Crimes, pp. 112-118
4. ^ P. Broue - La Rivoluzione perduta, pp. 797
5. ^ A. Orlov - Secret History, pp. 137
6. ^ A. Vaksberg - Literaturnja Gazeta , 27 gennnaio 1988
7. ^ Dubinskij-Muchadze - Ordzonikdze, pp. 6
8. ^ J.J. Marie - Stalin, pp. 180
9. ^ Krivitiskij - op. cit., pp. 196
10. ^ L. Nikulin Tuchaceveskij - Oktjabr n°5 1963, pp. 147
11. ^ Krivitiskij - op. cit., pp. 228
3. ^ A. Orlov - Secret History of Stalin's Crimes, pp. 112-118
4. ^ P. Broue - La Rivoluzione perduta, pp. 797
5. ^ A. Orlov - Secret History, pp. 137
6. ^ A. Vaksberg - Literaturnja Gazeta , 27 gennnaio 1988
7. ^ Dubinskij-Muchadze - Ordzonikdze, pp. 6
8. ^ J.J. Marie - Stalin, pp. 180
9. ^ Krivitiskij - op. cit., pp. 196
10. ^ L. Nikulin Tuchaceveskij - Oktjabr n°5 1963, pp. 147
11. ^ Krivitiskij - op. cit., pp. 228
A cura di Eugenio Gemmo, Direzione Nazionale – Partito Comunista dei Lavoratori
Revisione: Simone Raul Luraghi
Revisione: Simone Raul Luraghi