martedì 29 marzo 2011

L'ATTUALITA' DELLA RIVOLUZIONE PERMANENTE






L'ATTUALITA' DELLA RIVOLUZIONE PERMANENTE 

La rivoluzione permanente " trotskysta" affonda le sue radici- al contrario di quanto hanno scritto gli epigoni ignoranti staliniani - nel marxismo classico.

Già nell'ultima parte del Manifesto del Partito Comunista Marx e Engels avevano avanzato l'idea che in Germania " il moto borghese sarà l'immediato preludio di una rivoluzione proletaria" .

Indubbiamente il pronostico sostenuto dei due fondatori del marxismo classico si è dimostrato negli eventi inesatto, ma metodologicamente, al contrario, va considerato valido e giusto.

L'analisi di Marx e Engels si sviluppava su due aspetti, da una parte l'incidenza del contesto socio economico internazionale, dall'altro la maturità delle forze interne rispetto al livello raggiunto da altri paesi nel momento della rivoluzione borghese. In sostanza in Marx si faceva chiara l'idea, poi ripresa da Trotsky e da Lenin, secondo cui una paese arretrato come, ad esempio, la Russia avrebbe potuto raggiungere il potere il proletariato senza passare per una tappa intermedia, ovvero non fermarsi alla rivoluzione borghese.

La cosiddetta "rivoluzione a tappe" vide tra i maggiori sostenitori i menscevichi Plechanov, Martov e Martynov, in seguito, dopo la morte di Lenin, anche Stalin ne fu fervente sostenitore.

E’ stato proprio questo rimpasto di vecchio menscevismo della rivoluzione a “fasi storiche” , la teorica che ha inizio del secolo scorso si è opposta con maggior vigore alla Rivoluzione Permanente.

La rivoluzione cinese del 25 e del 27, ad esempio, vide la formulazione e

l’ esecuzione esplicita della tattica della rivoluzione a tappe da parte di Stalin

(inserimento del PCC nel Kuomitang nazionalista) - in seguito negli anni 30 Stalin, non contento di tale disastro che portò al massacro di Shangai, ne diede anche una copertura ideologica, come padrone nei fatti dell'Internazionale Comunista. Tale copertura ideologica sfocio con i famigerati “fronti popolari”, tattica, ahimè, che ancora oggi ne subiamo le conseguenze e la sue applicazioni (il centro sinistra ne è una versione aggiornata).

Non a caso, a riprova ulteriore di questo scelta dell’apparato staliniano, a capo della linea politica del PCUS stalinizzato in Cina, sempre durante la rivoluzione degli anni 20 in Cina, Stalin mise l'ex menscevico Martynov che non tradì la fiducia di Stalin strangolando la rivoluzione cinese e profetizzano la rivoluzione a tappe.

Tornando, cosa più interessante, alle radici della Rivoluzione Permanente di Trotsky vi è uno scritto ancor più esplicito del già citato Manifesto del Partito Comunista riguardante le basi marxiane della teoria di Trotsky è il testo "L'indirizzo della lega dei Comunisti" scritto dai fondatori del marxismo.

" Mentre i piccoli borghesi democratici vogliono portare al più presto possibile la rivoluzione e realizzando tutt'al più le rivendicazioni di cui sopra è nostro interesse e nostro compito rendere permanente la rivoluzione sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano scacciate dal potere, sino a che il proletariato non abbia conquistato il potere dello stato, sino a che l'associazione del proletariato non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti del mondo si sia sviluppata al punto che venga meno la concorrenza tra i proletariati di questi paesi e sino a che almeno le forze produttive decisive non siano tutte nelle mani del proletariato. IL loro ( classe operaia tedesca) grido di battaglia deve essere la rivoluzione in permanenza!"

Dunque in Trotsky esisteva una sponda una sorta di ancoraggio al marxismo classico nella sua formulazione teorica della Rivoluzione Permanente.

Ma sarebbe un errore, un grave errore storico e dialettico, pensare che in Trotsky l’ analisi della Rivoluzione Permanente sia stato semplicemente il frutto di una declinazione meccanicista del marxismo classico.

Trotsky da voce alle sue idea in un contesto storico particolare ove il dibattito e gli avvenimenti, in seno al movimento operaio, sono in piena evoluzione, in queste condizioni particolari Trotsky formula e aggiorna la teoria della Rivoluzione Permanente.

IN CHE COSA CONSISTE LA RIVOLUZIONE PERMANENTE

La teoria della Rivoluzione Permanente nasce nel 1905.

Trotsky, con l’aiuto di Parvus, inizia a formulare tale teoria.

Inizialmente il nome di come viene chiamata la Rivoluzione Permanente è Rivoluzione Ininterrotta, l’articolo di Trotsky che accenna a questa teoria appare sul Nacialo ( rivista del movimenti operaio russo) nel 1905.

Ma di Rivoluzione in Permanenza aveva già parlato Lenin qualche tempo prima. Lenin spiegava la sua posizione , all’interno del dibattito politico della socialdemocrazia, e indicava la necessità di “non fermarsi a metà strada” e di passare “subito, nella misura della propria forza”,

1 dalla rivoluzione democratico a quella socialista, quindi è in fieri anche il Lenin – come poi ci mostreranno i suoi testi : Lettere da Lontano e le Tesi di Aprile-

il rifiuto di quella che era la rivoluzione a tappe.

Nel testo del 1905 Trotsky preme per il superamento tra programma minimo

(conquiste parziali del movimento operaio) e il programma massimo ( socialismo).

Trotsky, con estrema chiarezza, pone idealmente la problematica permanentistica della rivoluzione al metodo del programma transitorio :

"La posizione d’avanguardia della classe operaia nella lotta rivoluzionaria; il legame che si stabilisce fra lei e la compagna rivoluzionaria, il fascino con cui essa sottomette l’esercito; tutto la spinge inevitabilmente al potere.

La piena vittoria della rivoluzione comporta la vittoria del proletariato.

Questa vittoria ultima determina a sua volta l’ulteriore continuità della rivoluzione.

Il proletariato attua i compiti fondamentali della democrazia e la logica della lotta immediata per il rafforzamento del dominio politico pone ad esso in un determinato momento problemi puramente socialisti.

Tra programma minimo e programma massimo si stabilisce una continuità rivoluzionaria.

Questo non significa un colpo, e neppure un giorno o un mese, ma un’intera epoca rivoluzionaria. Sarebbe cecità valutare in precedenza la durata di questa”

2 Nella teoria della rivoluzione permanente sono presenti un insieme di riflessioni che spaziano a 360’ nel metodo marxista.

Vi troviamo in questa teoria :

1) Per i paesi a sviluppo borghese ritardato e in particolare per i paesi semicoloniali e coloniali, la teoria della rivoluzione permanente significa che la soluzione vera e compiuta dei loro problemi di democrazia e liberazione nazionale non è concepibile se non per l’opera della dittatura del proletariato

2) La questione agraria e il ruolo dei contadini nei processi rivoluzionario

3) Qualunque siano le tappe del processo rivoluzionario nei vari paesi, l’alleanza rivoluzionaria del proletariato con i contadini è concepibile solo sotto la direzione del proletariato.

4) La vecchia formula della “ dittatura democratica del proletariato e dei contadini” è superata.

Essa rifletteva, in modo algebrico, la situazione contingente del rapporto dei classe tra proletariato , contadini e forze borghesi. Ciò significa che la dittatura democratica del proletariato e dei contadini è concepibile solo come “ la dittatura del proletariato che trascini dietro di sé le masse contadine”.

5) La conquista del proletariato non termina alla rivoluzione proletaria, al contrario, non fa che inaugurarla.

6) La rivoluzione socialista non può giungere a compimento entro un quadro nazionale.

7) La teoria del socialismo in un paese solo- non solo è stata sconfitta dalla storia- è la sola che si opponga in modo del tutto conseguente alla teoria della rivoluzione permanente, dunque al socialismo internazionale e al marxismo rivoluzionario.

8) La teoria della Rivoluziona Permanente è anche il frutto dell’ineguale sviluppo economico e combinato dell’economia.

Il marxismo rivoluzionario in particolar modo quello di inizio secolo scorso, ovvero quello spinto da Kautskij, si era formato sulla convinzione che le rivoluzioni socialiste fossero possibili in primo luogo ed esclusivamente nei paesi a capitalismo avanzato.

Nei paesi arretrati, colonie, ecc. si presupponeva che ciò non fosse possibile se prima non sopraggiungesse la rivoluzione “democratica borghese” .

La storia, come la rivoluzione russa ha dimostrato, è stato il contrario.

Proprio su questo contrario, il continuo della rivoluzione sino alla presa del potere dal parte della classe operaia che si erige la Rivoluzione Permanente di Trotskij.

Se la borghesia, come ci insegna la storia anche recente, non può lasciarsi assimilare pacificamente dalla democrazia socialista, lo stato socialista non può dunque integrarsi nel sistema capitalista mondiale.

Lo sviluppo pacifico di “ un paese solo” non è all’ ordine del giorno della storia, si preannunciano; una lunga serie di sconvolgimenti mondiali, si preannunciano guerre e rivoluzioni. Le tempeste sono inevitabili

anche nella vita interna dell’ Urss…

3 

LA RIVOLUZIONE ARABA VIDIMAZIONE DELLA RIVOLUZIONE PERMANENTE

Dopo una dittatura pluridecennale il dittatore tunisino Ben Alì è fuggito dal paese lasciando le dimissione di capo del governo, simile sorte almeno negli effetti è toccata al dittatore egiziano Mubarak.

Le proteste, in Tunisia, iniziate nel centro di Sidi Bouzid si sono allargate in poco tempo in tutto il paese.

La protesta anti Ben Alì è stata un evento eccezionale, ha coinvolto vasti strati della popolazione tunisina, tra cui il movimento operaio.

Il popolo tunisino, come quello egiziano, sono stufi della disoccupazione, dell’aumento verticale dei prezzi del pane e di prima necessità, stanchi di un regime corrotto, amministrativo, burocratico e poliziesco.

I popoli tunisino e egiziano hanno fatto sentire la loro voce, hanno dimostrato il loro coraggio e hanno liberato il proprio paese dai rispettivi dittatori. Ma queste vittorie parziali del popolo tunisino ed egiziano, seppur importanti, non possono soddisfare le masse rivoluzionarie del Magreb.

La questione centrale per tutte le rivoluzioni è che il potere post dittatura deve essere assunto dal proletariato.

La caduta di un despota non rappresenta necessariamente il conseguimento della vittoria del mondo del lavoro.

Gli eventi del Magreb e non solo Tunisia, Egitto, Algeria, Marocco, Libia, Siria ecc rappresentano un passaggio fondamentale per la diffusione del programma marxista rivoluzionario.

Imboccato dalla teoria della Rivoluzione Permanente il programma comunista è l’unico che può rispondere alle esigenze di libertà delle singole popolazioni

L’effetto domino delle rivoluzioni in Tunisia ed Egitto ha avuto ripercussioni in Libia e in altri stati, dobbiamo sostenere con tutte le forze i popoli in rivolta, sotto la guida del proletariato, che possono cacciare questi regimi e finalmente instaurare un sistema socialista.

LA RIVOLUZIONE A TAPPE ENNESIMO TRADIMENTO STALINISTA

Dopo decenni di tradimenti gli stalinisti ripetono ancora gli stessi errori che da sempre li hanno caratterizzati.

Attratti dal potere come una sorta di calamita sono sempre disposti a pronarsi all’uomo potente di turno.

In Tunisia, ad esempio, gli stalinisti tunisini guidati Amhed Ibrahim dopo aver in gran parte sostenuto l’ascesa del potere di Ben Alì del 1987 in contrapposizione al precedente despota Habib Bourguiba, hanno poi preso come passo in “avanti” il discorso di Ben Alì –prima della caduta- che prometteva riforme, infine non saturi di tutto ciò, il trogloditismo stalinista non ha mai fine, hanno gridato a gran voce un governo di unità nazionale, magari con la loro partecipazione…

In Libia, invece, le forze staliniane ( nella sua totalità, compresi i piccoli sostenitori europei) hanno visto e vedono il regime di Gheddafi progressista, come qualche anno fa vedevano e tutt’ora lo vedono come progressista il regime teocratico Iraniano, a motivare tale posizione sarebbero due aspetti.

Il primo, tipico dell’analisi staliniane, è l’opposizione presunta che tali regime ( Iran e Libico) hanno fatto all’imperialismo statunitense.

(come se per un comunista vi fossero dei regimi borghesi progressisti…Sic!) .

Secondo aspetto sarebbe caratterizzato, nell’analisi sempre “campista” degli stalinisti, dal fatto che la rivoluzione libica sia pagata , nei migliori casi imboccata dagli Usa e da altri imperialismi, quindi controrivoluzionaria.

Insomma la solita storia , gli stalinisti pensano che la CIA o altri servizi segreti abbiamo comprato centinaia di migliaia di persone per fare una “rivoluzione” atlantista. Dunque vi sarebbe una sorta di stanza segreta (negli USA, tanto segreta da far invidia alla serie televisiva X-Files) eteroguidata dagli imperialismi che a seconda dei propri interessi economici indica la strada alle masse

“controrivoluzionarie”, a suon di dollari, per il superamento dei regimi di turno… Insomma gli stalinisti, questi si in modo meccanicistico e astorico continuano a battere la strada della “rivoluzione a tappe”.

La prima di queste tappe dovrebbe secondo la loro logica essere una “transizione democratica” e solamente dopo in un futuro non meglio precisato si può pensare

(ma non lo fanno) ad una rivoluzione socialista.

Non solo questo metodo è profondamente antileninista

(basti guardare il processo rivoluzionario in Russia del 1917 sotto la guida di Lenin e Trotsky), ma anche cieco storicamente.

Nessuna rivoluzione è di per se eterna, le masse lottano per un miglioramento delle loro condizioni, ma senza un partito rivoluzionario la rivoluzione non può essere guidata alla presa del potere del proletariato.

La borghesia in assenza di un vero Partito Comunista (magari con l’aiuto dei partiti collaborazionisti e gli stalinisti di turno) riesce a riprendere fiato

e in modo “gattopardesco” a sostituire un regime borghese con un altro…

Non fermarsi alle concessioni borghesi, ma continuare sino alla presa del potere.

Questa deve essere la parola d’ordine nel Magreb

PER LA GUIDA RIVOLUZIONARIA DI UN VERO PARTITO COMUNISTA

Trotsky, dopo la prima rivoluzione Russa del 1905, scriveva che i soviet nascono solo in una fase rivoluzionaria.

Nel 1905 i soviet nascono, in origine, come comitati di sciopero al servizio del proletariato così, seppur con i dovuti termini di paragone, in Tunisia sono nati in alcune zone comitati per la difesa diretti dai manifestanti contro gli attacchi polizieschi del regime.

Per questo- oggi più che mai- la costruzione di un'alternativa di direzione della rivoluzione, Tunisina, Egiziana e in particolar modo libica è e sarà posta sempre più il frutto dalla dinamica degli avvenimenti e delle parole d’ordine avanzate dalla classe operaia, gli avvenimenti, in Libia, hanno subito una forte accelerazione. Sono stati scossi dagli interessi dell’imperialismo francese e britannico in primis che si è affrettato a bombardare la Libia per tutelare i propri interessi economici.

Solo un partito rivoluzionario (in Libia) e conseguentemente trotskysta può servirsi delle contraddizioni tra imperialismi occidentali e Gheddafi e porre all’ordine del giorno la rivoluzione socialista.

Fondamentale per il proletariato libico sarà il rifiuto del “sostegno” dei vari imperialismi contro il regime Gheddafiano; una vera e propria illusione, una finta liberazione.

Solo un partito rivoluzionario può assolvere alla complessità di questi compiti. Cacciare Gheddafi e l’imperialismo occidentale per una federazione socialista e laica del Magreb.

Eugenio Gemmo D.N. PCL Note 1 “ L’atteggiamento della socialdemocrazia verso il movimento contadino” OP. IX 2 “ Nacialo” n’ 10

giovedì 10 febbraio 2011

LETTERA DEGLI OPPOSITORI RUSSI SULL'ESPULSIONE DEI "TRE" COMPAGNI ITALIANI

Trotsky e l'opposizione italiana
Lettera a degli oppositori russi sull'espulsione dei "tre" compagni italiani (...)

Anche nel Partito italiano si sono verificati di recente seri mutamenti. Voi siete già a conoscenza dell'espulsione dal Partito, sotto l'accusa di solidarizzare con Trotsky, del compagno Bordiga, che era recentemente tornato dal confino.

I compagni italiani ci hanno scritto che Bordiga, essendo venuto a conoscenza delle nostre ultime pubblicazioni, ha fatto una dichiarazione, sembra, in accordo con le nostre posizioni.
Allo stesso tempo, nel Partito ufficiale si è verificata una spaccatura, in gestazione ormai da vario tempo.
Dei membri del Comitato Centrale, che erano di alcuni dei più importanti settori di lavoro del Partito, hanno rifiutato di accettare la teoria e la pratica del "terzo periodo".

Essi sono stati dichiarati "deviazionisti di destra", ma in realtà non hanno nulla in comune con Tasca, Brandler e i suoi amici.
Il loro disaccordo sul "terzo periodo" li ha indotti a riprendere in considerazione tutte le discussioni e le differenze degli ultimi anni, ed essi hanno dichiarato il loro pieno accordo con l'Opposizione di sinistra internazionale.
Questo è un ampliamento delle nostre file di eccezionale valore! (...)

Lettera ai "tre" [edita in La Lutte de classes, n°23, 1930]

Cari compagni, ho ricevuto la vostra lettera del 5 maggio.

Vi ringrazio molto per questo studio del comunismo italiano in generale e delle diverse tendenze che vi esistono in particolare.
Mi era molto necessario e mi è stato di grande utilità. Sarebbe ingiusto dare al lavoro, così profondo, il valore d'una semplice lettera.
Con qualche modifica o qualche piccolo ritaglio, questa lettera potrebbe senz'altro trovare posto nelle colonne de La Lutte de classes.

Se me lo consentite, comincerò con una conclusione politica generale: io penso che nel futuro la nostra collaborazione reciproca sarà perfettamente possibile ed anche estremamente augurabile.
Nessuno di noi possiede o può possedere delle formule politiche prestabilite, che possono servire in ogni occasione della vita.
Ma credo che il metodo con il quale voi cercate di determinare le formule politiche necessarie, è quello corretto.

Mi domandate che cosa penso di tutta una serie di gravi problemi. Ma prima di cercare di rispondere a qualcuno di essi, devo esprimere una riserva molto importante.

Io non ho mai conosciuto da vicino la vita politica italiana perché non sono stato in Italia che pochissimo tempo, leggo assai scorrettamente l'italiano e durante il periodo che sono stato all'Internazionale Comunista non ho avuto l'occasione di penetrare più in profondità nell'esame degli affari italiani.
Del resto voi già sapete questo fatto, perché altrimenti come spiegare che avete intrapreso un lavoro così dettagliato per mettermi al corrente delle questioni italiane?
Ancora una volta vi esprimo la mia riconoscenza.

Risulta da ciò che precede che le mie risposte nella maggior parte dei casi devono avere un valore assolutamente ipotetico.
In nessun caso considero le riflessioni che seguono come definitive, è possibile e perfino probabile che esaminando questo o quel problema io perda di vista alcune circostanze concrete di luogo e di tempo moto importanti.
Aspetterò dunque le vostre obiezioni, delucidazioni supplementari e correttive. Poiché, come spero, il nostro metodo è identico, arriveremo alla soluzione giusta.

Voi mi ricordate che ho criticato a suo temo la formula "Assemblea repubblicana sulla base dei Comitati operai e contadini", formula lanciata a suo tempo dal Partito comunista italiano.
Voi mi dite che questa formula non aveva avuto che un valore del tutto episodico e che attualmente è stata abbandonata.
Voglio tuttavia dirvi perché reputo questa formula come sbagliata o almeno equivoca in quanto formula politica. L'"Assemblea repubblicana" costituisce innegabilmente un organismo dello Stato borghese.

Che cosa sono invece i "Comitati operai e contadini"? è evidente che in qualche modo sono un equivalente dei Soviet operai e contadini.
Allora bisogna dirlo.
In quanto organismi di classe delle masse povere operaie e contadine -sia che voi li chiamate Soviet o Comitati- costituiscono sempre delle organizzazioni di lotta contro lo Stato borghese per diventare poi organismi insurrezionali e trasformarli, infine, dopo la vittoria, in organismi di dittatura proletaria.

Come è possibile in queste condizioni, che un'Assemblea repubblicana -organo supremo dello Stato borghese- abbia come base degli organismi di Stato proletario? Tengo a precisare che nel 1917, prima di ottobre, Zinov'ev e Kamenev, quando entrambi si proclamavano contrari ad un'insurrezione, erano del parere di attendere che l'Assemblea Costituente si fosse riunita per cercare uno "stato combinato" mediante la fusione dell'Assemblea Costituente con i Soviet operai e contadini. Nel '19 vedemmo Hilferding proporre di iscrivere i Soviet nella Costituzione di Weimar.

Come Zinov'ev e Kamenev, Hilferding chiamava tale operazione lo "stato combinato". Nella sua qualità di nuovo tipo piccolo-borghese, egli doveva, nel momento stesso della più brusca svolta storica, "combinare" un nuovo tipo di Stato sposando, sotto il segno costituzionale, la dittatura della borghesia alla ditta del proletariato. La formula italiana esposta più sopra mi pare sia una variante di questa tendenza piccolo-borghese.
A meno ch'io l'abbia mal compresa.
In tal caso, però, essa porta in sé il difetto incontestabile di prestare il fianco ad equivoci pericolosi.

Approfitto di questa occasione per correggere un errore veramente imperdonabile commesso dagli epigoni nel 1924; essi avevano trovato in Lenin un passaggio in cui è detto che noi saremmo stati forse portati a combinare l'Assemblea Costituente con i Soviet.

Un passaggio del genere può essere scoperto ugualmente nei miei scritti.

Ma di che esattamente si trattava?

Noi ponevamo la questione di un'insurrezione che avrebbe trasmesso il potere al proletariato sotto forma dei Soviet.
Alla domanda circa quello che avremmo fatto in questo caso dell'Assemblea Costituente, rispondevamo: "Si vedrà: forse la combineremo con i Soviet"; sottolineando naturalmente l'eventualità in cui l'Assemblea Costituente, convocata sotto il regime dei Soviet, avesse dato una maggioranza sovietica.
Poiché così non fu, i Soviet cacciarono l'Assemblea Costituente.

In altri termini: la questione che ci eravamo posta era quella di sapere se fosse stato possibile di trasformare l'Assemblea Costituente e i Soviet in organismi di una sola e stessa classe, ma niente affatto di "combinare" un'Assemblea Costituente borghese con i Soviet proletari.

Nell'un caso (secondo Lenin) il problema era la formazione di uno Stato proletario, la sua struttura, la sua tecnica. Nell'altro (secondo Zinov'ev, Kamenev e Hilferding) si trattava di una combinazione costituzionale di due Stati di classi nemiche nell'intento di evitare una insurrezione proletaria che avrebbe preso il potere.

La questione che stiamo per esaminare è intimamente legata a un'altra che voi analizzate nella vostra lettera: quale carattere sociale assumerà la rivoluzione antifascista.
Voi negate la possibilità in Italia di una rivoluzione borghese. In questo avete perfettamente ragione.

La storia non può tornare indietro di tutta una serie di pagine ciascuna delle quali vale un periodo di anni.

Il Comitato centrale del Partito comunista italiano aveva già tentato in precedenza di eludere la questione proclamando che la rivoluzione non sarà né borghese né proletaria, ma "popolare".

Si tratta d'una semplice ripetizione di quello che dicevano i populisti russi all'inizio di questo secolo quando si domandava loro quale carattere avrebbe avuto la rivoluzione contro lo zarismo.
Ed è ancora questa stessa risposta che dà attualmente l'Internazionale Comunista per quanto riguarda la Cina e l'India.

Si tratta semplicemente di una variante sedicente rivoluzionaria della teoria socialdemocratica di Otto Bauer e di altri e secondo la quale lo Stato può elevarsi al di sopra delle classi, vale a dire può non essere né borghese né proletario.
Questa teoria è nefasta tanto per il proletariato quanto per la rivoluzione.

In Cina essa ha trasformato il proletariato in carne da cannone per la controrivoluzione borghese.

Ogni grande rivoluzione si trova ad essere popolare nel senso ch'essa trascina nel suo solco il popolo tutt'intero.

E la grande Rivoluzione francese e la Rivoluzione d'Ottobre furono assolutamente popolari.

Ciononostante la prima era borghese perché istituiva la proprietà privata.
Soltanto qualche rivoluzionario piccolo-borghese, disperatamente arretrato, può ancora sperare di una rivoluzione che non sia né borghese né proletaria, ma "popolare" (vale a dire piccolo-borghese).

Ora, in periodo imperialista, la piccola borghesia è non soltanto incapace di dirigere una rivoluzione, ma perfino di prendervi una parte determinata. Di modo che la formula d'una "dittatura democratica del proletariato e dei contadini" costituisce ormai una semplice copertura d'una rivoluzione di transizione e d'uno Stato di transizione, vale a dire di una rivoluzione e di uno Stato tali che non possono essere realizzati non solo in Italia ma neanche nell'India arretrata.

Una rivoluzione che non abbia preso una posizione netta e chiara sulla questione della dittatura democratica proletaria e contadina, è destinata a sbandare di errore in errore.

Per quanto concerne il problema della rivoluzione antifascista, la questione italiana è più di ogni altra intimamente legata ai problemi fondamentali del comunismo mondiale, vale a dire alla teoria della rivoluzione permanente.

A ciò che precede fa seguito la questione del periodo di "transizione" in Italia.

Innanzitutto bisogna stabilire con chiarezza: di transizione da che cosa a che cosa?
Periodo di transizione dalla rivoluzione borghese (o "popolare") alla rivoluzione proletaria, è una cosa. Periodo di transizione dalla dittatura fascista alla dittatura proletaria, è un'altra cosa.

Se si pensa alla prima concezione, la questione della rivoluzione borghese si pone in primo luogo e si tratta allora di inserirvi il ruolo del proletariato, dopodiché soltanto si porrà la questione del periodo di transizione verso una rivoluzione proletaria.

Se si pensa alla seconda concezione viene allora ad essere posta la questione di una serie di battaglie, sconvolgimenti, rovesciamenti di situazioni, brusche svolte, che costituiscono nell'insieme le diverse tappe della rivoluzione proletaria.

Queste tappe potranno essere numerose.

Ma esse non possono in alcun modo contenere nel loro seno una rivoluzione borghese o il suo feto misterioso: la rivoluzione "popolare".

Ciò vuol dire che l'Italia non può per un certo periodo di tempo tornare ad essere uno Stato parlamentare o diventare una "Repubblica democratica"?
Ritengo -in perfetto accordo con voi, penso- che questa eventualità non è esclusa.

Ma allora essa non risulterà come un frutto d'una rivoluzione borghese, ma come un aborto d'una rivoluzione proletaria insufficientemente matura o prematura.

Nel corso d'una crisi rivoluzionaria profonda e di combattimenti di massa nel corso dei quali l'avanguardia proletaria non fosse all'altezza di prendere il potere, accadrà che la borghesia ristabilisca il suo potere su basi "democratiche".
Si può dire, ad esempio, che l'attuale Repubblica tedesca costituisca una conquista della rivoluzione borghese?
Una tale affermazione sarebbe assurda.
Ci fu in Germania nel 1918-19 una rivoluzione proletaria che, privata di direzione, fu ingannata, tradita e schiacciata.

Ma la controrivoluzione borghese si vide costretta ad adattarsi alle circostanze risultanti da questa sconfitta della rivoluzione proletaria, e da ciò nacque una Repubblica parlamentare "democratica". La stessa eventualità -più o meno- è esclusa per l'Italia? No, non è esclusa.

La vittoria del fascismo fu il risultato della nostra sconfitta nella rivoluzione proletaria del 1920.
Soltanto una nuova rivoluzione proletaria può rovesciare il fascismo.

Se anche questa volta essa non fosse destinata a trionfare (debolezza del Partito comunista, manovre e tradimento dei socialdemocratici, dei massoni, dei cattolici) lo Stato di transizione che la controrivoluzione borghese si vedrà allora costretta a stabilire sulle rovine del suo potere sotto forma fascista, non potrà essere altro che uno Stato parlamentare e democratico.

Perché, qual è in definitiva lo scopo della Concentrazione antifascista? Prevedendo la caduta dello Stato fascista per una sollevazione del proletariato e, in generale, di tutte le masse oppresse, la Concentrazione si appresta a fermare questo movimento, a paralizzarlo e a privarlo della sua vittoria per far passare la vittoria della controrivoluzione rinnovata per una sedicente vittoria d'una rivoluzione borghese democratica.

Se si perde, anche per un solo istante, di vista questa dialettica delle forze sociali viventi, si rischia di imbrogliarsi irrimediabilmente e di uscire dalla strada maestra.
Credo che non può esserci alcuna malinteso tra noi su questo punto.
Ma ciò significa che noi, comunisti, respingiamo a priori ogni obiettivo democratico, ogni parola d'ordine di transizione o di preparazione, fermandoci rigorosamente alla sola dittatura proletaria? Sarebbe dar prova di un vano settarismo dottrinario.

Non crediamo neanche per un istante che un semplice salto rivoluzionario sia sufficiente a saldare ciò che separa il regime della dittatura proletaria.
Non neghiamo affatto la fase di transizione con le sue esigenze transitorie, ivi comprese le esigenze della democrazia.

Ma è precisamente con l'aiuto di queste parole d'ordine di transizione dalle quali scaturisce sempre la via della dittatura del proletariato, che l'avanguardia comunista dovrà conquistare la classe operaia tutta intera e che questa ultima dovrà unificare attorno a sé la classe sfruttate della nazione.
E qui non escludo neanche l'eventualità di una Assemblea Costituente che in certe circostanze potrebbe essere imposta dagli avvenimenti, o, più precisamente, dal processo di risveglio rivoluzionario delle masse oppresse.
Certamente, su scala storica e per tutto un periodo, i destini dell'Italia si ridurranno incontestabilmente alla seguente alternativa: fascismo o comunismo.

Ma pretendere che la nozione di questa alternativa è penetrata fin a ora nella coscienza delle classi sfruttate del popolo, sarebbe una pura fantasia e vorrebbe dire che si considera come già risolto il problema più gigantesco la cui soluzione, invece, resta tutta di fronte a un partito comunista ancora debole.

Se la crisi rivoluzionaria dovesse scoppiare, per esempio, nel corso dei prossimi mesi (sotto la spinta della crisi economica da una parte, e sotto l'influenza rivoluzionaria venuta dalla Spagna), le grandi masse lavoratrici sia operaie che contadine farebbero certamente seguire le loro rivendicazioni economiche da parole d'ordine democratiche (quali la libertà di stampa, di coalizione sindacale, di rappresentanza democratica al Parlamento e nei Comuni).

Ciò significa che il Partito comunista dovrà respingere queste richieste? Al contrario.
Dovrà imprimere loro l'aspetto più audace e più categorico che sia possibile.

Perché non si può imporre la dittatura del proletariato alle masse popolari. Non si può realizzarla che conducendo la battaglia -la battaglia a fondo -per tutte le rivendicazioni, le esigenze e i bisogni transitori delle masse, e alla testa di queste masse.

Bisogna poi ricordare che il bolscevismo non è affatto arrivato al potere con l'aiuto dell'astratto obiettivo della dittatura proletaria.

Noi abbiamo combattuto per l'Assemblea Costituente ben più arditamente di tutti gli altri partiti.
Dicevamo ai contadini: "Voi rivendicate la divisione in parti uguali della terra? Il nostro programma agrario va molto al di là. Ma nessuno all'infuori di noi vi aiuterà, contadini, a realizzare il godimento egualitario della terra. è per questo motivo che dovete sostenere gli operai".

Per quanto concerneva la guerra dicevamo ancora ai contadini:
"L'obiettivo dei comunisti è la guerra a tutti gli sfruttatori. Ma voi non siete maturi per vedere così lontano. Voi avete fretta di sottrarvi alla guerra imperialista. Nessuno all'infuori di noi, bolscevichi, vi aiuterà ad arrivarci".

Non affronto qui la questione di quali devono essere le parole d'ordine centrali del periodo di transizione in Italia in questo anno 1930.
Per determinarle e per stabilirne l'opportuna successione bisognerebbe conoscere molto meglio di me la vita interna dell'Italia e stare molto più vicino alle masse lavoratrici.
E qui, oltre a un metodo corretto, bisogna possedere l'arte di saper comprendere le masse.

Voglio dunque indicare qui soltanto i tratti comuni alle rivendicazioni transitorie nella lotta del comunismo contro il fascismo e contro la società borghese in generale.
Ciononostante, pur aderendo a questa o a quella parola d'ordine democratica, dobbiamo avere molta cura di lottare senza tregua contro tutte le forme di ciarlatanismo democratico.

La "Repubblica democratica dei lavoratori", obiettivo della socialdemocrazia italiana, è una perla di questo ciarlatanismo di bassa lega.

Una Repubblica democratica non è che una forma mascherata di Stato borghese.
L'alleanza dell'una con l'altro non è che un'illusione piccolo borghese delle masse socialdemocratiche alla base (operai, contadini), e una impudente menzogna dei socialdemocratici al vertice (di tutti questi Turati, Modigliani e via dicendo).

E a questo proposito, lo ripeto ancora, se mi sono opposto e mi oppongo ancora alla formula della "Assemblea nazionale sulla base dei comitati operai e contadini", è precisamente perché questa formula si avvicina troppo alla parola d'ordine della "Repubblica democratica dei lavoratori" dei socialdemocratici e potrebbe nuocerci moltissimo nella lotta contro la socialdemocrazia.

L'affermazione fatta dalla direzione ufficiale che la socialdemocrazia in Italia non esisterebbe più , non è che una consolante teoria di burocrati ottimisti che vogliono vedere le conquiste avvenute laddove, invece, ci sono difficili obiettivi da conseguire.

Il fascismo non ha liquidato la socialdemocrazia, ma, al contrario, l'ha conservata.
Essa non porta agli occhi delle masse la responsabilità del regime di cui essa stessa è parzialmente caduta vittima. è così ch'essa conquista nuove simpatie e conserva quelle vecchie.
E arriverà il momento in cui la socialdemocrazia farà tesoro dl sangue di Matteotti così come la Roma antica fece del sangue di Cristo.

E non resta dunque escluso che nei primi tempi della crisi rivoluzionaria la direzione si trovi ad essere principalmente concentrata nelle mani della socialdemocrazia.
Se masse considerevoli saranno trascinate nel movimento, e se il Partito comunista resterà sulla via maestra, potrà accadere che la socialdemocrazia in breve tempo sia annullata.

Ma questo sarà un obiettivo da raggiungere e non una conquista già realizzata.
Non serve a nulla saltare il problema: bisogna saperlo risolvere.

Qui voglio ricordare che Zinov'ev, e dopo di lui Manuilsky e i vari Kuusinen, avevano già chiarito a due o tre riprese che anche la socialdemocrazia tedesca di fatto non esisteva più.

Nel 1925 l'Internazionale Comunista, nella sua dichiarazione scritta per mano di Losowsky  al partito francese, aveva egualmente decretato che il Partito socialdemocratico francese aveva definitivamente abbandonato la scena.

L'Opposizione di sinistra ha sempre energicamente protestato contro questa leggerezza di giudizio.
Soltanto dei poveri sciocchi e dei traditori possono voler far credere all'avanguardia proletaria d'Italia che la socialdemocrazia italiana non potrà più giocare il ruolo che aveva avuto la socialdemocrazia tedesca nei riguardi della rivoluzione del 1918.

Ma si può affermare che la socialdemocrazia non riuscirà ancora una volta a tradire e a portare il proletariato italiano al fallimento come essa fece già una volta nel 1920.

Sono ormai finite queste illusioni ingannatrici e questi errori!
Troppe volte nel corso della sua storia il proletariato si vide ingannato innanzitutto dal liberalismo, poi dalla socialdemocrazia.

Inoltre non si può perdere di vista che dal 1920 sono passati dieci anni pieni, e otto anni dopo l'avvento del fascismo.
I ragazzi che avevano 10-12 anni nel '20-'22 e che hanno visto in questi anni che cosa è l'opera del fascismo, costituiscono ora la nuova generazione operaia e contadina che lotterà eroicamente contro il fascismo, ma che però mancherà di esperienza politica.

I comunisti non verranno in contatto con le vere masse che durane la rivoluzione stessa, e, nel migliore dei casi, avranno bisogno di molti mesi per arrivare a demolire e a rovesciare la socialdemocrazia che il fascismo -ripeto- non ha affatto liquidato, ma, al contrario, conservato.
 Non dirò di più per oggi.
Ho appena ricevuto la ricca documentazione che mi avete inviato e di cui non ho ancora preso completa conoscenza.

Tutto ciò che precede non è basato che su quanto è detto nella vostra lettera.
Come convenuto, mi riservo il diritto di apportare correzioni al seguito della mia esposizione.

Per finire, qualche parola concernente una importante questione sulla quale non possono esserci, tra noi, due pareri diversi.

I comunisti di sinistra devono e possono deliberatamente dare le loro dimissioni dai posti ch'essi occupano nel partito, e dal partito stesso?  Non ci possono essere dubbi.

Tranne qualche rarissima eccezione -e che furono errori- nessuno di noi l'ha mai fatto.
Ma io non comprendo bene in quale misura e con quale mezzi i compagni italiani possono conservare il tale o il tal altro posto in seno al partito nelle attuali circostanze.

Non posso dire nulla di concreto a questo proposito, se non che nessuno di noi saprebbe ammettere che ci si possa accodare in una posizione politica falsa o equivoca agli occhi del partito o delle masse, allo scopo di evitare l'espulsione.

Vi stringo la mano, vostro Leone Trotsky

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