Trotsky e
l'opposizione italiana
Lettera a
degli oppositori russi sull'espulsione dei "tre" compagni italiani
(...)
Anche nel Partito
italiano si sono verificati di recente seri mutamenti. Voi siete già a
conoscenza dell'espulsione dal Partito, sotto l'accusa di solidarizzare con
Trotsky, del compagno Bordiga, che era recentemente tornato dal confino.
I compagni italiani ci
hanno scritto che Bordiga, essendo venuto a conoscenza delle nostre ultime
pubblicazioni, ha fatto una dichiarazione, sembra, in accordo con le nostre
posizioni.
Allo stesso tempo, nel
Partito ufficiale si è verificata una spaccatura, in gestazione ormai da vario
tempo.
Dei membri del
Comitato Centrale, che erano di alcuni dei più importanti settori di lavoro del
Partito, hanno rifiutato di accettare la teoria e la pratica del "terzo
periodo".
Essi sono stati
dichiarati "deviazionisti di destra", ma in realtà non hanno nulla in
comune con Tasca, Brandler e i suoi amici.
Il loro disaccordo sul
"terzo periodo" li ha indotti a riprendere in considerazione tutte le
discussioni e le differenze degli ultimi anni, ed essi hanno dichiarato il loro
pieno accordo con l'Opposizione di sinistra internazionale.
Questo è un
ampliamento delle nostre file di eccezionale valore! (...)
Lettera ai
"tre" [edita in La Lutte de classes, n°23, 1930]
Cari compagni, ho
ricevuto la vostra lettera del 5 maggio.
Vi ringrazio molto per
questo studio del comunismo italiano in generale e delle diverse tendenze che
vi esistono in particolare.
Mi era molto
necessario e mi è stato di grande utilità. Sarebbe ingiusto dare al lavoro,
così profondo, il valore d'una semplice lettera.
Con qualche modifica o
qualche piccolo ritaglio, questa lettera potrebbe senz'altro trovare posto
nelle colonne de La Lutte de classes.
Se me lo consentite,
comincerò con una conclusione politica generale: io penso che nel futuro la
nostra collaborazione reciproca sarà perfettamente possibile ed anche
estremamente augurabile.
Nessuno di noi
possiede o può possedere delle formule politiche prestabilite, che possono
servire in ogni occasione della vita.
Ma credo che il metodo
con il quale voi cercate di determinare le formule politiche necessarie, è
quello corretto.
Mi domandate che cosa
penso di tutta una serie di gravi problemi. Ma prima di cercare di rispondere a
qualcuno di essi, devo esprimere una riserva molto importante.
Io non ho mai
conosciuto da vicino la vita politica italiana perché non sono stato in Italia
che pochissimo tempo, leggo assai scorrettamente l'italiano e durante il
periodo che sono stato all'Internazionale Comunista non ho avuto l'occasione di
penetrare più in profondità nell'esame degli affari italiani.
Del resto voi già
sapete questo fatto, perché altrimenti come spiegare che avete intrapreso un
lavoro così dettagliato per mettermi al corrente delle questioni italiane?
Ancora una volta vi
esprimo la mia riconoscenza.
Risulta da ciò che
precede che le mie risposte nella maggior parte dei casi devono avere un valore
assolutamente ipotetico.
In nessun caso
considero le riflessioni che seguono come definitive, è possibile e perfino
probabile che esaminando questo o quel problema io perda di vista alcune
circostanze concrete di luogo e di tempo moto importanti.
Aspetterò dunque le
vostre obiezioni, delucidazioni supplementari e correttive. Poiché, come spero,
il nostro metodo è identico, arriveremo alla soluzione giusta.
Voi mi ricordate che
ho criticato a suo temo la formula "Assemblea repubblicana sulla base dei
Comitati operai e contadini", formula lanciata a suo tempo dal Partito
comunista italiano.
Voi mi dite che questa
formula non aveva avuto che un valore del tutto episodico e che attualmente è
stata abbandonata.
Voglio tuttavia dirvi
perché reputo questa formula come sbagliata o almeno equivoca in quanto formula
politica. L'"Assemblea repubblicana" costituisce innegabilmente un
organismo dello Stato borghese.
Che cosa sono invece i
"Comitati operai e contadini"? è evidente che in qualche modo sono un
equivalente dei Soviet operai e contadini.
Allora bisogna dirlo.
In quanto organismi di
classe delle masse povere operaie e contadine -sia che voi li chiamate Soviet o
Comitati- costituiscono sempre delle organizzazioni di lotta contro lo Stato
borghese per diventare poi organismi insurrezionali e trasformarli, infine,
dopo la vittoria, in organismi di dittatura proletaria.
Come è possibile in
queste condizioni, che un'Assemblea repubblicana -organo supremo dello Stato
borghese- abbia come base degli organismi di Stato proletario? Tengo a
precisare che nel 1917, prima di ottobre, Zinov'ev e Kamenev, quando entrambi
si proclamavano contrari ad un'insurrezione, erano del parere di attendere che
l'Assemblea Costituente si fosse riunita per cercare uno "stato
combinato" mediante la fusione dell'Assemblea Costituente con i Soviet
operai e contadini. Nel '19 vedemmo Hilferding proporre di iscrivere i Soviet
nella Costituzione di Weimar.
Come Zinov'ev e
Kamenev, Hilferding chiamava tale operazione lo "stato combinato".
Nella sua qualità di nuovo tipo piccolo-borghese, egli doveva, nel momento
stesso della più brusca svolta storica, "combinare" un nuovo tipo di
Stato sposando, sotto il segno costituzionale, la dittatura della borghesia
alla ditta del proletariato. La formula italiana esposta più sopra mi pare sia
una variante di questa tendenza piccolo-borghese.
A meno ch'io l'abbia
mal compresa.
In tal caso, però,
essa porta in sé il difetto incontestabile di prestare il fianco ad equivoci
pericolosi.
Approfitto di questa
occasione per correggere un errore veramente imperdonabile commesso dagli
epigoni nel 1924; essi avevano trovato in Lenin un passaggio in cui è detto che
noi saremmo stati forse portati a combinare l'Assemblea Costituente con i
Soviet.
Un passaggio del
genere può essere scoperto ugualmente nei miei scritti.
Ma di che esattamente
si trattava?
Noi ponevamo la
questione di un'insurrezione che avrebbe trasmesso il potere al proletariato
sotto forma dei Soviet.
Alla domanda circa
quello che avremmo fatto in questo caso dell'Assemblea Costituente,
rispondevamo: "Si vedrà: forse la combineremo con i Soviet";
sottolineando naturalmente l'eventualità in cui l'Assemblea Costituente,
convocata sotto il regime dei Soviet, avesse dato una maggioranza sovietica.
Poiché così non fu, i
Soviet cacciarono l'Assemblea Costituente.
In altri termini: la
questione che ci eravamo posta era quella di sapere se fosse stato possibile di
trasformare l'Assemblea Costituente e i Soviet in organismi di una sola e
stessa classe, ma niente affatto di "combinare" un'Assemblea
Costituente borghese con i Soviet proletari.
Nell'un caso (secondo
Lenin) il problema era la formazione di uno Stato proletario, la sua struttura,
la sua tecnica. Nell'altro (secondo Zinov'ev, Kamenev e Hilferding) si trattava
di una combinazione costituzionale di due Stati di classi nemiche nell'intento
di evitare una insurrezione proletaria che avrebbe preso il potere.
La questione che
stiamo per esaminare è intimamente legata a un'altra che voi analizzate nella
vostra lettera: quale carattere sociale assumerà la rivoluzione antifascista.
Voi negate la
possibilità in Italia di una rivoluzione borghese. In questo avete
perfettamente ragione.
La storia non può
tornare indietro di tutta una serie di pagine ciascuna delle quali vale un
periodo di anni.
Il Comitato centrale
del Partito comunista italiano aveva già tentato in precedenza di eludere la
questione proclamando che la rivoluzione non sarà né borghese né proletaria, ma
"popolare".
Si tratta d'una
semplice ripetizione di quello che dicevano i populisti russi all'inizio di
questo secolo quando si domandava loro quale carattere avrebbe avuto la
rivoluzione contro lo zarismo.
Ed è ancora questa
stessa risposta che dà attualmente l'Internazionale Comunista per quanto
riguarda la Cina e l'India.
Si tratta
semplicemente di una variante sedicente rivoluzionaria della teoria
socialdemocratica di Otto Bauer e di altri e secondo la quale lo Stato può
elevarsi al di sopra delle classi, vale a dire può non essere né borghese né
proletario.
Questa teoria
è nefasta tanto per il proletariato quanto per la rivoluzione.
In Cina essa ha
trasformato il proletariato in carne da cannone per la controrivoluzione
borghese.
Ogni grande
rivoluzione si trova ad essere popolare nel senso ch'essa trascina nel suo
solco il popolo tutt'intero.
E la grande
Rivoluzione francese e la Rivoluzione d'Ottobre furono assolutamente popolari.
Ciononostante la prima
era borghese perché istituiva la proprietà privata.
Soltanto qualche
rivoluzionario piccolo-borghese, disperatamente arretrato, può ancora sperare di
una rivoluzione che non sia né borghese né proletaria, ma "popolare"
(vale a dire piccolo-borghese).
Ora, in periodo
imperialista, la piccola borghesia è non soltanto incapace di dirigere una
rivoluzione, ma perfino di prendervi una parte determinata. Di modo che la
formula d'una "dittatura democratica del proletariato e dei
contadini" costituisce ormai una semplice copertura d'una rivoluzione di
transizione e d'uno Stato di transizione, vale a dire di una rivoluzione e di
uno Stato tali che non possono essere realizzati non solo in Italia ma neanche
nell'India arretrata.
Una rivoluzione che
non abbia preso una posizione netta e chiara sulla questione della dittatura
democratica proletaria e contadina, è destinata a sbandare di errore in errore.
Per quanto
concerne il problema della rivoluzione antifascista, la questione italiana è
più di ogni altra intimamente legata ai problemi fondamentali del comunismo
mondiale, vale a dire alla teoria della rivoluzione permanente.
A ciò che precede fa
seguito la questione del periodo di "transizione" in Italia.
Innanzitutto
bisogna stabilire con chiarezza: di transizione da che cosa a che cosa?
Periodo di
transizione dalla rivoluzione borghese (o "popolare") alla
rivoluzione proletaria, è una cosa. Periodo di transizione dalla dittatura
fascista alla dittatura proletaria, è un'altra cosa.
Se si pensa alla prima
concezione, la questione della rivoluzione borghese si pone in primo luogo e si
tratta allora di inserirvi il ruolo del proletariato, dopodiché soltanto si
porrà la questione del periodo di transizione verso una rivoluzione proletaria.
Se si pensa alla
seconda concezione viene allora ad essere posta la questione di una serie di
battaglie, sconvolgimenti, rovesciamenti di situazioni, brusche svolte, che
costituiscono nell'insieme le diverse tappe della rivoluzione proletaria.
Queste tappe potranno
essere numerose.
Ma esse non possono in
alcun modo contenere nel loro seno una rivoluzione borghese o il suo feto
misterioso: la rivoluzione "popolare".
Ciò vuol dire che
l'Italia non può per un certo periodo di tempo tornare ad essere uno Stato
parlamentare o diventare una "Repubblica democratica"?
Ritengo -in perfetto
accordo con voi, penso- che questa eventualità non è esclusa.
Ma allora
essa non risulterà come un frutto d'una rivoluzione borghese, ma come un aborto
d'una rivoluzione proletaria insufficientemente matura o prematura.
Nel corso d'una crisi
rivoluzionaria profonda e di combattimenti di massa nel corso dei quali
l'avanguardia proletaria non fosse all'altezza di prendere il potere, accadrà
che la borghesia ristabilisca il suo potere su basi "democratiche".
Si può dire, ad
esempio, che l'attuale Repubblica tedesca costituisca una conquista della
rivoluzione borghese?
Una tale affermazione
sarebbe assurda.
Ci fu in Germania nel
1918-19 una rivoluzione proletaria che, privata di direzione, fu ingannata,
tradita e schiacciata.
Ma la
controrivoluzione borghese si vide costretta ad adattarsi alle circostanze
risultanti da questa sconfitta della rivoluzione proletaria, e da ciò nacque
una Repubblica parlamentare "democratica". La stessa eventualità -più
o meno- è esclusa per l'Italia? No, non è esclusa.
La vittoria
del fascismo fu il risultato della nostra sconfitta nella rivoluzione
proletaria del 1920.
Soltanto una
nuova rivoluzione proletaria può rovesciare il fascismo.
Se anche questa volta
essa non fosse destinata a trionfare (debolezza del Partito comunista, manovre
e tradimento dei socialdemocratici, dei massoni, dei cattolici) lo Stato di
transizione che la controrivoluzione borghese si vedrà allora costretta a
stabilire sulle rovine del suo potere sotto forma fascista, non potrà essere
altro che uno Stato parlamentare e democratico.
Perché, qual è in
definitiva lo scopo della Concentrazione antifascista? Prevedendo la caduta
dello Stato fascista per una sollevazione del proletariato e, in generale, di
tutte le masse oppresse, la Concentrazione si appresta a fermare questo
movimento, a paralizzarlo e a privarlo della sua vittoria per far passare la
vittoria della controrivoluzione rinnovata per una sedicente vittoria d'una
rivoluzione borghese democratica.
Se si perde, anche per
un solo istante, di vista questa dialettica delle forze sociali viventi, si
rischia di imbrogliarsi irrimediabilmente e di uscire dalla strada maestra.
Credo che non può
esserci alcuna malinteso tra noi su questo punto.
Ma ciò significa che noi,
comunisti, respingiamo a priori ogni obiettivo democratico, ogni parola
d'ordine di transizione o di preparazione, fermandoci rigorosamente alla sola
dittatura proletaria? Sarebbe dar prova di un vano settarismo dottrinario.
Non crediamo neanche
per un istante che un semplice salto rivoluzionario sia sufficiente a saldare
ciò che separa il regime della dittatura proletaria.
Non neghiamo affatto
la fase di transizione con le sue esigenze transitorie, ivi comprese le
esigenze della democrazia.
Ma è precisamente con
l'aiuto di queste parole d'ordine di transizione dalle quali scaturisce sempre
la via della dittatura del proletariato, che l'avanguardia comunista dovrà
conquistare la classe operaia tutta intera e che questa ultima dovrà unificare
attorno a sé la classe sfruttate della nazione.
E qui non escludo
neanche l'eventualità di una Assemblea Costituente che in certe circostanze
potrebbe essere imposta dagli avvenimenti, o, più precisamente, dal processo di
risveglio rivoluzionario delle masse oppresse.
Certamente,
su scala storica e per tutto un periodo, i destini dell'Italia si ridurranno
incontestabilmente alla seguente alternativa: fascismo o comunismo.
Ma pretendere
che la nozione di questa alternativa è penetrata fin a ora nella coscienza
delle classi sfruttate del popolo, sarebbe una pura fantasia e vorrebbe dire
che si considera come già risolto il problema più gigantesco la cui soluzione,
invece, resta tutta di fronte a un partito comunista ancora debole.
Se la crisi
rivoluzionaria dovesse scoppiare, per esempio, nel corso dei prossimi mesi
(sotto la spinta della crisi economica da una parte, e sotto l'influenza
rivoluzionaria venuta dalla Spagna), le grandi masse lavoratrici sia operaie
che contadine farebbero certamente seguire le loro rivendicazioni economiche da
parole d'ordine democratiche (quali la libertà di stampa, di coalizione
sindacale, di rappresentanza democratica al Parlamento e nei Comuni).
Ciò significa
che il Partito comunista dovrà respingere queste richieste? Al contrario.
Dovrà
imprimere loro l'aspetto più audace e più categorico che sia possibile.
Perché non si può
imporre la dittatura del proletariato alle masse popolari. Non si può
realizzarla che conducendo la battaglia -la battaglia a fondo -per tutte le
rivendicazioni, le esigenze e i bisogni transitori delle masse, e alla testa di
queste masse.
Bisogna poi
ricordare che il bolscevismo non è affatto arrivato al potere con l'aiuto
dell'astratto obiettivo della dittatura proletaria.
Noi abbiamo combattuto
per l'Assemblea Costituente ben più arditamente di tutti gli altri partiti.
Dicevamo ai contadini:
"Voi rivendicate la divisione in parti uguali della terra? Il
nostro programma agrario va molto al di là. Ma nessuno all'infuori di noi vi
aiuterà, contadini, a realizzare il godimento egualitario della terra. è per
questo motivo che dovete sostenere gli operai".
Per quanto concerneva
la guerra dicevamo ancora ai contadini:
"L'obiettivo
dei comunisti è la guerra a tutti gli sfruttatori. Ma voi non siete maturi per
vedere così lontano. Voi avete fretta di sottrarvi alla guerra imperialista.
Nessuno all'infuori di noi, bolscevichi, vi aiuterà ad arrivarci".
Non affronto qui la
questione di quali devono essere le parole d'ordine centrali del periodo di
transizione in Italia in questo anno 1930.
Per determinarle e per
stabilirne l'opportuna successione bisognerebbe conoscere molto meglio di me la
vita interna dell'Italia e stare molto più vicino alle masse lavoratrici.
E qui, oltre a un
metodo corretto, bisogna possedere l'arte di saper comprendere le masse.
Voglio dunque indicare
qui soltanto i tratti comuni alle rivendicazioni transitorie nella lotta del
comunismo contro il fascismo e contro la società borghese in generale.
Ciononostante, pur
aderendo a questa o a quella parola d'ordine democratica, dobbiamo avere molta
cura di lottare senza tregua contro tutte le forme di ciarlatanismo
democratico.
La
"Repubblica democratica dei lavoratori", obiettivo della
socialdemocrazia italiana, è una perla di questo ciarlatanismo di bassa lega.
Una Repubblica
democratica non è che una forma mascherata di Stato borghese.
L'alleanza dell'una
con l'altro non è che un'illusione piccolo borghese delle masse
socialdemocratiche alla base (operai, contadini), e una impudente menzogna dei
socialdemocratici al vertice (di tutti questi Turati, Modigliani e via
dicendo).
E a questo
proposito, lo ripeto ancora, se mi sono opposto e mi oppongo ancora alla
formula della "Assemblea nazionale sulla base dei comitati operai e
contadini", è precisamente perché questa formula si avvicina troppo alla
parola d'ordine della "Repubblica democratica dei lavoratori" dei
socialdemocratici e potrebbe nuocerci moltissimo nella lotta contro la socialdemocrazia.
L'affermazione fatta
dalla direzione ufficiale che la socialdemocrazia in Italia non esisterebbe più
, non è che una consolante teoria di burocrati ottimisti che vogliono vedere le
conquiste avvenute laddove, invece, ci sono difficili obiettivi da conseguire.
Il fascismo
non ha liquidato la socialdemocrazia, ma, al contrario, l'ha conservata.
Essa non porta agli
occhi delle masse la responsabilità del regime di cui essa stessa è
parzialmente caduta vittima. è così ch'essa conquista nuove simpatie e conserva
quelle vecchie.
E arriverà il momento
in cui la socialdemocrazia farà tesoro dl sangue di Matteotti così come la Roma
antica fece del sangue di Cristo.
E non resta dunque
escluso che nei primi tempi della crisi rivoluzionaria la direzione si trovi ad
essere principalmente concentrata nelle mani della socialdemocrazia.
Se masse considerevoli
saranno trascinate nel movimento, e se il Partito comunista resterà sulla via
maestra, potrà accadere che la socialdemocrazia in breve tempo sia annullata.
Ma questo sarà un
obiettivo da raggiungere e non una conquista già realizzata.
Non serve a
nulla saltare il problema: bisogna saperlo risolvere.
Qui voglio ricordare
che Zinov'ev, e dopo di lui Manuilsky e i vari Kuusinen, avevano già chiarito a
due o tre riprese che anche la socialdemocrazia tedesca di fatto non esisteva
più.
Nel 1925
l'Internazionale Comunista, nella sua dichiarazione scritta per mano di
Losowsky al partito francese, aveva egualmente decretato che il Partito
socialdemocratico francese aveva definitivamente abbandonato la scena.
L'Opposizione di
sinistra ha sempre energicamente protestato contro questa leggerezza di
giudizio.
Soltanto dei poveri
sciocchi e dei traditori possono voler far credere all'avanguardia proletaria
d'Italia che la socialdemocrazia italiana non potrà più giocare il ruolo che
aveva avuto la socialdemocrazia tedesca nei riguardi della rivoluzione del
1918.
Ma si può affermare
che la socialdemocrazia non riuscirà ancora una volta a tradire e a portare il
proletariato italiano al fallimento come essa fece già una volta nel 1920.
Sono ormai
finite queste illusioni ingannatrici e questi errori!
Troppe volte
nel corso della sua storia il proletariato si vide ingannato innanzitutto dal
liberalismo, poi dalla socialdemocrazia.
Inoltre non si può
perdere di vista che dal 1920 sono passati dieci anni pieni, e otto anni dopo
l'avvento del fascismo.
I ragazzi che avevano
10-12 anni nel '20-'22 e che hanno visto in questi anni che cosa è l'opera del
fascismo, costituiscono ora la nuova generazione operaia e contadina che
lotterà eroicamente contro il fascismo, ma che però mancherà di esperienza
politica.
I comunisti non
verranno in contatto con le vere masse che durane la rivoluzione stessa, e, nel
migliore dei casi, avranno bisogno di molti mesi per arrivare a demolire e a
rovesciare la socialdemocrazia che il fascismo -ripeto- non ha affatto
liquidato, ma, al contrario, conservato.
Non dirò di più
per oggi.
Ho appena ricevuto la
ricca documentazione che mi avete inviato e di cui non ho ancora preso completa
conoscenza.
Tutto ciò che precede
non è basato che su quanto è detto nella vostra lettera.
Come convenuto, mi
riservo il diritto di apportare correzioni al seguito della mia esposizione.
Per finire, qualche
parola concernente una importante questione sulla quale non possono esserci,
tra noi, due pareri diversi.
I comunisti di
sinistra devono e possono deliberatamente dare le loro dimissioni dai posti
ch'essi occupano nel partito, e dal partito stesso? Non ci possono essere
dubbi.
Tranne qualche
rarissima eccezione -e che furono errori- nessuno di noi l'ha mai fatto.
Ma io non comprendo
bene in quale misura e con quale mezzi i compagni italiani possono conservare
il tale o il tal altro posto in seno al partito nelle attuali circostanze.
Non posso dire nulla
di concreto a questo proposito, se non che nessuno di noi saprebbe ammettere
che ci si possa accodare in una posizione politica falsa o equivoca agli occhi
del partito o delle masse, allo scopo di evitare l'espulsione.
Vi stringo la mano,
vostro Leone Trotsky
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