di Lukas
Il fermo delle navi della flotta Tirrenia (ex Compagnia Italiana di Navigazione) e la vergognosa situazione di migliaia di marittimi bloccati a bordo, in una sorta di prigionia, senza possibilità di essere avvicendati in sicurezza a causa delle chiusure alle frontiere e alla sospensione del traffico aereo, è solo la punta di un iceberg riguardante i lavoratori del mare, prima e durante l’attuale emergenza pandemica.
Ma occorre andare con ordine per permettere al lettore di inquadrare la situazione di questa particolare componente della classe lavoratrice, residuale ma strategica a livello economico, e oseremmo dire a livello storico, non fosse altro che l’80% delle merci nel mondo transitano via mare, e che i marinai furono tra le maggiori avanguardie nelle mobilitazioni e nelle insurrezioni, su tutte quella dell’Ottobre del 1917 in Russia. Ciononostante, è una delle forze proletarie più dimenticate e meno tutelate.
UNA VITA PERENNEMENTE PRECARIA
Nel settore dei trasporti marittimi esistono tre modalità di arruolamento a bordo di una nave battente bandiera italiana: iscrizione al Turno Generale, al Turno Particolare e Continuità del Rapporto di Lavoro.
Nel primo caso, il lavoratore è assunto a tempo determinato; terminata la navigazione con meno di 90 giorni, il rapporto di lavoro termina lì.
Se si superano i 90 giorni consecutivi il marittimo ha diritto all’iscrizione nel Turno Particolare, ovvero ha diritto di precedenza nella turnazione degli equipaggi, egli ha raggiunto l’agognato tempo indeterminato.
Ma il Turno Particolare è effettivamente una relazione di lavoro a tempo indeterminato? Assolutamente no. L’Armatore ha un vincolo morale nel richiamare il marittimo, il quale sia se a tempo determinato in Turno generale che a tempo indeterminato in Turno particolare, a fine imbarco riceve il suo TFR ed è a tutti gli effetti un disoccupato, coperto dalla NASPI. Spetterà al marittimo a tempo indeterminato far valere questo vincolo morale, nel caso in cui non venga richiamato dopo sei mesi dallo sbarco, attraverso una interpretazione giurisprudenziale estensiva dell’art.24 del D.lgs 81/2005, attraverso la quale ottenere il rispetto del proprio turno o altrimenti un risarcimento, con perdita del posto di lavoro.
La continuità del rapporto di lavoro (di seguito C.R.L.) è un istituto di derivazione contrattuale con il quale il marittimo ha un’effettiva continuità con la Compagnia, poiché il suo rapporto di lavoro prosegue anche durante la licenza [1] a casa, con la dazione della paga base di bordo corrisposta a terra.
Il problema è che è sempre più difficile ottenerla, vista la chiara volontà padronale di avere forza-lavoro precaria, i requisiti stringenti e la facilità con cui la si può perdere, tornando nei gangli dei turni precari oppure arrivando al licenziamento.
Un marittimo in continuità non può rifiutare o rinviare la chiamata, se non per comprovati motivi, pena la perdita della continuità stessa. Siamo ben lontani dal vecchio ruolo organico, abolito con la privatizzazione della Compagnia Italiana di Navigazione, con il quale il marittimo era a tutti gli effetti equiparato ad un lavoratore di terra.
SE OTTO MESI VI SEMBRAN POCHI…
I marittimi per totalizzare 52 settimane di contributi debbono totalizzare 7 mesi e 20 giorni d’imbarco nell’arco dell’anno, con una tabella lavorativa che parla chiaro: 72 ore lavorate a settimana e 77 di riposo.
Il problema è proprio il poter conciliare lavoro e riposo: impossibile con le attuali tabelle di armamento [2] e con la rapidità richiesta dai traffici commerciali. Basti pensare che una nave cisterna di 274 metri, che effettua navigazione oceanica e può trasportare oltre un milione di barili di greggio, può operare con appena 18 membri di equipaggio, i quali si occupano non solo di navigazione e operazioni di caricazione e discarica, ma anche di manovre di ormeggio e disormeggio, manutenzione navale, manutenzione meccanica, esercitazioni e pratiche burocratiche – queste ultime, ormai, a corredo di ogni pratica navale interna ed esterna. Per fare un esempio, una nave invitata ad entrare in porto o in terminal non verrà mai giustificata commercialmente per aver chiesto il rinvio dell’ingresso, causa rispetto dei periodi di riposo [3]. Nella pratica le ore effettive di lavoro sono molto di più di 72, nel caso in cui si facciano molte operazioni commerciali. Una nave può ricevere l’autorizzazione a entrare in operazioni al sorgere o al tramonto, a mezzanotte come durante il pranzo, alle due di notte come alle cinque del mattino. Non per questo ci sono equipaggi per tutte le ore, riposati: l’equipaggio è sempre uno. Non regge, pertanto, la proporzione sette mesi e 20 giorni equivalenti ad un anno intero di contribuzione.
AIUTO! CHIAMATE IL DOTTORE!
E invece del dottore, a mettere dei punti di sutura o somministrare delle medicine ci pensa il Comandante, come se una persona diplomata al vecchio istituto tecnico-nautico, oggi Trasporti e Logistica, dopo un corso di primo soccorso avanzato della durata di appena tre giorni, possedesse le stesse competenze di un professionista della sanità, quale un medico chirurgo, il quale ha speso dieci anni della sua vita per formarsi.
La mancanza di un serio presidio sanitario a bordo rappresenta un vero vulnus al diritto democratico e costituzionale non solo italiano, ma internazionale. Se un marittimo si dovesse trovare a bordo di una nave da crociera, equipaggiata nettamente meglio rispetto alle restanti navi della marineria internazionale, avrebbe un’assistenza medica decisamente più professionale che non su altre tipologie di navi, dove non è ben assistita (navi traghetto) o dove non esiste proprio (tutte le altre). Il Centro Internazionale Radio Medico costituisce un ausilio necessario ma non sufficiente a garantire il diritto alla salute del personale imbarcato, e non potrà mai avere la stesse efficacia di un dottore in carne e ossa.
Oggi, se a bordo di una nave mercantile commerciale, senza presidio sanitario a bordo, in navigazione, dovesse svilupparsi un contagio esteso da Covid-19, chi dovesse aver bisogno di ventilazione polmonare da terapia intensiva, l’unica ventilazione che riuscirebbe ad avere è quella delle celle frigorifere della cambusa [4].
LA BUONA SCUOLA DEL MARE, OVVERO ONDATE DI SFRUTTAMENTO
A partire dal 2015, a causa di un disgraziato accordo a latere del rinnovo del CCNL 2015, Confitarma insieme a FILT-CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti hanno introdotto l’alternanza scuola-lavoro e i salari d’ingresso nelle carriere iniziali della Marina mercantile italiana.
Un allievo comune e un allievo sottufficiale al primo imbarco possono essere assunti con una indennità onnicomprensiva [5] di 550 e 600 euro. In una situazione peggiore ci sono gli allievi ufficiali di macchina e di coperta, i quali possono essere imbarcati per un periodo di 12 mesi effettivi di navigazione con l’indennità onnicomprensiva di 650 euro.
La formazione delle carriere iniziali, dopo la soppressione degli Istituti Tecnico-Nautici e la creazione degli Istituti Trasporti e Logistica (i quali non garantiscono l’automatico ottenimento della qualifica di allievo ufficiale, la quale si ottiene dopo la frequenza dei corsi base presso i centri di addestramento convenzionati con il MIT), è stata di fatto delegata agli ITS [6].
Questi ultimi hanno notevoli contatti con le compagnie armatrici, a differenza degli istituti trasporti e logistica, e pagano i corsi di formazione necessari a sostenere l’esame di qualificazione per ottenere il certificato di Ufficiale di Navigazione o Ufficiale di Macchina. Prevedono lo svolgimento di un triennio di alternanza studio e lavoro, e attraverso la fidelizzazione con la Compagnia assegnataria dell’allievo garantiscono l’occupazione successiva.
In verità la realtà non è proprio questa. Chi scrive ne è stato diretto testimone. Gli ITS hanno sicuramente più contatti con gli armatori semplicemente perché sono gestiti da loro, i quali con il riconoscimento pubblico e la indecente indennità hanno fiutato subito il business della formazione marittima, ottenendo denaro pubblico.
Al termine del percorso nessuna garanzia occupazionale esiste, poiché si tratta pur sempre di un istituto d’istruzione. L’unica garanzia che hanno gli armatori è di avere centri che si occupino di intermediazione di manodopera, sgravandoli del peso economico. Infatti diventa sempre più difficile trovare imbarco se non si passa attraverso questi istituti, trasformando de facto un mestiere ad accesso libero e senza limiti d’età in una professione vincolata dalle esigenze economiche e dai requisiti dei bandi di ammissione, voluti dagli armatori. Inoltre la cosiddetta istruzione superiore, soprattutto per il profilo navigazione, si concentra eccessivamente sulle materie gestionali invece che su quelle tecnico-professionali, come se la formazione dell’ufficiale di navigazione fosse alla stregua di un normale economista o tecnico commerciale seduto nel suo studio, e non abbisognasse della fondamentale conoscenza scientifica del mare.
D’altronde all’armatore non interessa avere personale formato, bensì personale iperspecializzato, visto che oggi la navigazione è stata rivoluzionata dall’informatica e dall’elettronica. Certo – facendo un paragone forzato – essere passeggero o membro di equipaggio di una nave comandata da una persona che è specializzata negli atti negoziali del mercato dei noli ma che non sa interpretare una carta meteorologica è come essere pazienti di un chirurgo che ha imparato ad operare con i tutorial di Youtube.
In tutto questo il sindacato o viene estromesso dopo aver apposto la firma ad un accordo capestro oppure deve accodarsi nella gestione dando un’impronta bilaterale all’istituto, in parte modificando, nella sostanza, la natura stessa dell’istituto: accademia di formazione o ente bilaterale? In ogni caso un grande affare per i padroni.
LA FORMAZIONE DEI MARITTIMI: TRA CENTRI DI ADDESTRAMENTO CONVENZIONATI E BUONA SCUOLA
Ma il business della formazione non si ferma qui: dal 2013, con l’abolizione dei titoli professionali, qualora un marittimo non riuscisse a "smarcare a libretto" almeno dodici mesi di navigazione effettiva nel quinquennio, perderebbe il certificato di competenza che ne attesta a livello internazionale la sua qualifica (mozzo, marinaio, operaio meccanico, nostromo, ufficiale, primo ufficiale, direttore, comandante), e se volesse ricominciare a navigare dovrebbe frequentare di nuovo tutti i corsi, a pagamento [7], presso i Centri autorizzati dal MIT. E lo stesso vale per le navi speciali [8]. È come se un avvocato perdesse la sua abilitazione se non avesse un anno effettivo di esercizio nel quinquennio, oppure un medico si vedesse ritirata la validità della sua laurea.
Tornando alla formazione iniziale, l’unificazione dell’esame di diploma ITS con l’esame di abilitazione di fronte alla Direzione marittima, se da un lato ha colmato una delle tante lacune e illogicità del sistema istruttivo marittimo (gli allievi svolgevano lo stesso percorso d’esame previsto nei bandi delle Direzioni marittime, e lo svolgevano sotto una cornice di studio, almeno formalmente, parauniversitario. Con l’unificazione dei due esami cessa questa inutile dicotomia), determina però il riconoscimento di tale prassi nell’ambito della legge 107/2015, ovvero la “Buona scuola”.
Infine, dulcis in fundo, con l’allegato al CCNL del 2015 si introduce il salario di ingresso per gli allievi ufficiali che abbiano superato l’esame di abilitazione diventando Terzi Ufficiali, detraendo il 20% della retribuzione prevista per un pari grado. Essendo un accordo che riveste una finalità formativa se ne deduce che per i primi dodici mesi l’ufficiale junior sia un lavoratore in formazione e pertanto ausiliario, supportato da un ufficiale senior pienamente responsabile, come accade ad esempio sulle navi da crociera. In realtà gli armatori non hanno volutamente interpretato così l’accordo, attribuendo piena responsabilità delle guardie in navigazione e in porto agli ufficiali junior, i quali sono pertanto sottopagati. Si arriva al paradosso che durante la navigazione, il marinaio che risponde agli ordini e alle disposizioni dell’ufficiale, non avendo (giustamente, ci mancherebbe!) la responsabilità della guardia, guadagna più di un ufficiale, per quanto in formazione.
IL REGISTRO INTERNAZIONALE DEI PADRONI E I CONTRIBUTI STRATEGICI
Il registro internazionale istituto con la legge 20/1998 consente agli armatori delle navi iscritte in questo registro di poter – previa deroga alle leggi nazionali in tema di riserva di assunzione ai marittimi italiani e comunitari – assumere personale extracomunitario e poterlo pagare usando i CCNL dei paesi d’origine. Quindi su navi battenti bandiera italiana – e tali navi sono in tutto e per tutto suolo italiano – si consente l’utilizzo dei contratti collettivi filippini e indiani, decisamente più convenienti per gli armatori, riuscendo a creare un dumping salariale che di fatto ostacola l’unione degli interessi economici dei marittimi imbarcati.
Cosa fanno CGIL, CISL e UIL? Si appellano al sindacato internazionale? Provano a contestare la legge? No. Firmano l’accordo, e per ogni marittimo imbarcato su navi iscritte nel Registro Internazionale intascano 190 euro. Come se non bastasse, le Compagnie iscritte in tale registro godono dell’esenzione fiscale per l’80% dei profitti ottenuti, e hanno diritto a crediti d’imposta di valore corrispondente ai contributi dei marittimi da loro dichiarati ma non versati. Cioè i 2/3 dei contributi che spettano al datore di lavoro, per gli armatori sono gratuiti. Infine, qualora la tassazione del 20% dei profitti residui fosse fiscalmente non conveniente, le Compagnie possono accedere alla Tonnage Tax, un’imposta forfettaria che garantisce di abbattere anche i costi più elevati della fiscalità residuale del Registro Internazionale. Non crediamo, pertanto, che gli armatori abbiano bisogno di ulteriori aiuti, specie se di parte sindacale.
E SE NON BASTASSE, USIAMO ALTRI CONTRATTI COLLETTIVI
Sulle navi da crociera, infatti, con il pretesto del settore turismo, viene usato il contratto di quel settore per il personale che a bordo svolge lavoro di intrattenimento o cura. Peccato che quel personale dopo il turno di lavoro non torna a casa, ma va a riposare come i marittimi “normali” nelle proprie cabine.
Confitarm [9] si è spesso lamentata della vetustà anacronistica delle leggi che regolano la Marina Mercantile Italiana; ferma in alcuni casi, specie la documentazione di bordo, a regi decreti di mussoliniana memoria. Certo è che quando si parla di una riforma integrale che contempli anche il diritto e il codice della navigazione, storce il naso. Il Codice della Navigazione, emanato sotto il fascismo e a tutt’oggi in vigore, in quanto diritto speciale prevede pene severe a livello penale per eventuali proteste a bordo, classificate strumentalmente come ammutinamento, o la reclusione fino a tre mesi per il componente dell’equipaggio che si addormenta [10] e ben più pesanti per quanto riguarda reati colposi che possano arrecare pregiudizio grave alla navigazione. Norme adottate in un fase storica, nella quale, sebbene fosse al governo il fascismo, le tabelle di armamento erano più coerenti, a livello numerico, alla portata e alla velocità dei traffici commerciali dell’epoca.
D’altronde quale interesse c’è nel modificare assetti normativi a favore di persone che non votano, poiché non gli è garantito il diritto di voto? Infatti, nonostante ci sia la possibilità pratica di adempiere a questo fondamentale diritto, mediante il comando di bordo oppure per il tramite delle autorità consolari italiane all’estero, né gli armatori vogliono accollarsi questo costo né i consolati vogliono sobbarcarsene l’onere.
Alla luce di queste considerazioni, ad ormai sei anni dalla scadenza dell’ultimo CCNL, crediamo che i marittimi debbano combattere e avere diritto alle seguenti misure transitorie:
• Nazionalizzazione delle Compagnie marittime che licenziano, salvaguardando così i posti di lavoro fino alla nazionalizzazione della Marina Mercantile;
• Cancellazione degli accordi sull’alternanza scuola-lavoro nel settore marittimo, vero e proprio sfruttamento legalizzato, unitamente alla cancellazione del Registro Internazionale, che di internazionale ha solo il profitto dell’armatore padrone;
• Istituzione di un presidio sanitario su tutte le navi della Marina Mercantile, con medici ed infermieri di bordo, professionisti del settore. Basta con gli Ufficiali e i Comandanti che si improvvisano dottori!
• Formazione dei marittimi a carico delle Compagnie, piena gratuità dei moduli di insegnamento validi per l’accesso alle carriere iniziali della Marina Mercantile, includendo i moduli per l’ottenimento dei certificati dirigenziali di bordo, fino alla progressiva sostituzione del pubblico al privato.
• Istituzione di un unico ruolo di chiamata che determini il pagamento delle licenze e dei riposi a terra da parte delle Compagnie, abolendo la precarietà del settore e il falso status di disoccupato della maggioranza dei marittimi tra un imbarco e l’altro.
• Rinnovo del CCNL, ormai scaduto da sei anni, con la rimodulazione delle ore di lavoro e di riposo, garantendo tabelle di armamento tali da consentire un lavoro a bordo in sicurezza e maggiori periodi di licenza retribuita a terra.
• Abrogazione del Codice della Navigazione, quale legge speciale, di origine fascista, che restringe i diritti dei lavoratori marittimi. Pieno godimento dei diritti democratici tra i quali il diritto di voto. Nuova istituzione del Ministero della Marina Mercantile fino alla progressiva unificazione tra la Marina Mercantile e quella Militare.
• Nell’immediato presente della pandemia, garantire corridoi di lavoro esclusivi, tramite voli aerei specifici e presidi sanitari ad hoc, anti-Covid, nei porti di imbarco e sbarco.
Note:
[1] Periodo di riposo
[2] Il numero minimo di membri d’equipaggio per garantire la sicurezza a bordo, in primis intesa come sicurezza della vita umana in mare
[3] Tra un turno e l’altro di guardia devono trascorrere almeno 6 ore
[4] Locale delle navi nel quale vengono stipate le derrate e le provviste alimentari
[5] Straordinari, ferie, tredicesima, notturno, TFR
[6] Istituti Tecnici Superiori, livello V di formazione, intermedi tra l’istruzione secondaria e quella universitaria
[7] I costi medi per un allievo ufficiale che deve sostenere l’esame di abilitazione e imbarcarsi su una petroliera possono arrivare ai 6000 euro
[8] Le navi cisterna: petroliere, gasiere, chimichiere, per le quali sono necessari standard formativi più elevati a causa della pericolosità del carico trasportato (petrolio greggio e derivati del petrolio, gas metano, acidi chimici)
[9] Associazione industriale degli Armatori che aderisce a Confindustria
[10] Art.1119 Codice della Navigazione