domenica 12 settembre 2010

COME STALIN HA MASSACRATO I RIVOLUZIONARI - L’INVENZIONE DELLA FANTOMATICA COSPIRAZIONE




Nel gennaio del 1936 il capo della sezione politica segreta dell NKVD[1] Molcanov ha riunito una quarantina dei suoi migliori agenti comunicadogli che saranno impegnati in un caso di cospirazione. Il loro compito è quello di ottenere delle confessioni, a qualunque costo delle confessioni dei più illustri tra i vecchi dirigenti bolscevichi. Stalin in prima persona si occupò di seguire la vicenda[2]. L'opposizione unificata in URSS era ormai politicamente e fisicamente distrutta: Zinoviev, Kamenev e altri migliaia di veri bolscevichi erano in prigione o nei gulag da tempo, mentre Trotskij era in esilio da quasi dieci anni. La macchina guidata da Stalin, al contrario, stava diventando un vero e proprio “tritacarne di rivoluzionari”.
Il massacro iniziò. Circa trecento detenuti furono prelevati dai campi o dalle prigioni: bisognava (compito primario del NKVD) tirare fuori una trentina di confessioni per poter far pressione poi sugli altri oppositori come in un macabro gioco all'incastro. Chi si rifiutò venne eliminato immediamente e solo le "confessioni" estorte appariranno agli atti del processo. Non tutto, però, filò come previsto da Stalin: i vecchi dirigenti del partito Bolscevico opposero una strenua resistenza. La tortura non bastò, si dovette ricorrere ad altro: Zinoviev, ad esempio, poichè soffriva di asma, venne tenuto per giorni in una cella riscaldata all’eccesso[3]. Macrokskij cedette solamente dopo 90 ore continue di interrogatorio; Smirnov tenne duro sino alla fine, finchè non vide la figlia portata via dagli sbirri Stalinisti[4]; infine anche il propagandista Ter Vaganin dovette cedere[5]. Ora tutto era pronto: Stalin stava per cancellare non solo la storia del bolscevismo, ma anche i suoi uomini.

L’inizio dei processi
Il primo processo di Mosca si aprì il 19 agosto. Tra i banchi degli imputati comparvero Zinoviev, Kamenev, Ter Vaganian, Smirnov, ed alcuni collaboratori di Lenin come Evdokimov, Bakev ed altri. Ma tra gli stessi banchi degli imputati sedevano dei provocatori stalinisti, sconosciuti ai membri dell'opposizione. Trotskij vedendo le foto dei giornali ricercò le facce di un Mill, di un Well... (sic!).
A dirigere il processo contro gli accusati, una sorta di pubblico ministero, è Andrej Januarevic Visinskij, ex menscevico passato nelle file del bolscevismo alla fine della guerra civile, rettore all'Università di Mosca e già noto per la caccia ai trotskisti. Una parentesi su Visinskij è dovuta. Nel 1988 un noto giurista sovietico, Arkadi Vaksberg, in un articolo su "Liturjna Gazeta" ha fornito qualche altro dettaglio biografico su Visinskij: fu presidente del tribunale distrettuale nel 1917, il quale emise, durante la sua direzione, un mandato di cattura contro Lenin accusato di essere, pensate un po’, un "agente tedesco"! Insomma Stalin scelse l'uomo giusto per questo processo. Visinskij, non avendo potuto fucilare Lenin in persona, riverserà il suo odio contro i principali collaboratori di quest’ultimo. Il "cacciatore di Lenin" si scagliò contro gli accusati, definedoli "cani rabbiosi, degenerati, etc". Visinskij creò un nuovo tipo di processo penale, fino ad allora sconosciuto, in cui non vi era assolutamente bisogno di prove. A cosa servono le prove quando si tratta di "fetide carogne"[6]?
Il capo d'accusa era tanto ovvio quanto inverosimile: gli accusati avevano dato vita, dal 1932, ad un centro "zinovista-trotskijsta" di matrice terroristica, votato alla pratica del terrore individuale "contro i dirigenti del Partito". Si sostenne, sempre sotto l'egemonia giudiziaria del "cacciatore", che essi avevano progettato una serie di attentati terroristici contro Vorisolov, Stalin ed altri dirigenti di apparato e che loro era stata anche la regia dell'attentato di Kirov. Tutto ciò ovviamente (e ci mancherebbe altro), eterodiretto da Trotskij.
L'epicentro delle confessioni fu l'imputato Holzman. Questi era stato l'intermediaro tra Sedov (figlio di Trotskij) e Smirnov. Egli affermava di aver incontrato Sedov più volte, anche a Berlino, e di aver ricevuto da lui biglietti criptati, messaggi in codice. Asseriva inoltre di essersi recato a Copenhagen, su consiglio di Sedov, nel 1932, contestualmente al soggiorno danese di Trotskij. Dopo aver incontrato Sedov nella hall dell'Hotel Bristol, disse di essersi recato nella presunta residenza di Trostkij (sulla quale non fornì nessun dettaglio) e di aver ricevuto da Trostkij in persona l'ordine di uccidere Stalin.
L'imputato Louriè sostenne che Trostkij complottava con un uomo di Himmler, capo delle SS. David "confessò" che Trotskij, nel corso di un incontro (anche qui senza specificare nè dove, nè come, né quando) gli avrebbe ordinato di uccidere Stalin durante il XVII congresso.

Le purghe staliniste
Ma per comprendere a fondo il fenomeno dei processi di Mosca, che tra poco riprenderemo, è utile soffermarsi su come l'apparato trita uomini guidato Stalin stava, tra una purga e l'altra, dissolvendo il partito. Che fine facevano gli uomini che, in un modo o nell'altro, cercavano seppur cautamente di opporsi al regime?
Alcuni cercarono di utilizzare le stesse armi dell'NKVD, ovvero l'accusa inesistente, per tentare di arrestare la logica repressiva dei processi. Questo è il caso del Commissario del Popolo alla Sanità, Kaminiskij, il quale accusa Berja (vice di Ezov) di essere stato al soldo di un’organizzazione nazionalista armena. Kaminiskij venne preso e fucilato. Poi fu la volta di Postyscev, che espresse anche egli forti dubbi sulle modalità dei processi: Postyscev venne destituito e fucilato dopo mesi di sofferenze. Stalin intanto si era sbarazzato anche del suo vecchio amico Sergej Ordzonikdze, di cui aveva poco prima fatto fucilare il fratello maggiore Papulja. Il 16 febbraio del ’37, l'NKVD compì una perquisizione in casa di Sergej. Egli dunque chiamò adirato Stalin: “L'NKVD potrebbe benissimo compiere una perquisizione anche in casa mia, non si sa mai” gli rispose Stalin, “Non c'è niente di strano”[7]. Il 17 febbraio Sergej andò da Stalin ed ebbe con lui una agitata discussione. Forse era pronto a rompere con lui pubblicamente. Tornò a casa e trovò l'NKVD che gli propose di suicidarsi. Il dottor Levin attendeva nell'anticamera per certificare la morte per problemi cardiaci. Questo egregio medico verrà fucilato anch'esso durante il terzo processo di Mosca. Ancor prima di Sergej, Stalin aveva fucilato suo cognato Aliosa Svanidze, con il quale avevano spesso diviso la cena[8]. Inoltre, nel giugno del ’37, un processo a porte chiuse (per evitare ulteriori gaffe) libera Stalin dai dirigenti georgiani: Mdivani, Enukidze, etc.
Un esempio ancora più grottesco della paranoia dell'attentato che colpisce Stalin ce lo fornisce la storia della sua bibliotecaria. Ella, che per usare un eufemismo “era un po' in là con gli anni”, organizza (così si convince Stalin) un complotto per ucciderlo in combutta con due ufficiali della Guardia del Cremlino: Rjabanin e Cerniavskij. Ma il paradosso non finisce qui: la polizia segreta questa volta non scopre nulla. Stalin allora si presta al ruolo di funzionario dell’NKVD ed in quattro e quattr’otto smaschera tutti i cospiratori e li fa fucilare[9].
Infine, prima di tornare al secondo processo, un ultimo accenno alle epurazioni di Stalin nelle file dell'esercito, dopo aver sterminato l'intero apparato di partito. L'odio che investe Stalin nei confronti del Maresciallo Tuchaceveskij (probabilmente perchè più di una volta il maresciallo aveva evidenziato le responsabilità di Stalin sulla questione polacca) lo porta ad ammazzargli la moglie, la madre, la sorella e i due fratelli. Non contento, fa poi deportare  altre tre sue sorelle. Per concludere, il glorioso Maresciallo aveva una figlia troppo giovane per essere deportata, così Stalin la fa rinchiudere in un asilo e la farà deportare una volta raggiunta la maggiore età[10].
Le purghe colpiranno proprio tutti: in Bierolussa la metà dei membri del partito viene spazzata via e simile sorte tocca anche all'Ucraina.
Nell'estate del ’37 Stalin fece uscire di prigione Rykov e Bucharin, in prigione dal secondo processo, e li fece condurre di fronte al Comitato Centrale. Essi si rifiutarono di confessare i loro presunti crimini. Stalin non ebbe pietà: "Riportateli in prigione, che si difendano laggiù"[11]. Bucharin, Rakoskij, Rykov ed altri furono messi a tacere nel terzo processo.

Il secondo processo
Abbiamo visto le accuse del primo processo, le purghe tra un processo e l’altro e il relativo metodo del terrore (che colpì addirittura l’anziana bibliotecaria) tipico di un vero serial killer. Ora non ci resta che analizzare il secondo processo e la commissione Dewey.
Nel ’37 si aprì il secondo processo. Tra i diciotto imputati figuravano: Pjatakov, Radek, Serebriajkov, Drobnis, Muralov ed altri. Furono accusati di aver costituito un centro di "riserva" (ovviamente) di matrice terroristica zinovista-trotskista, in sostituzione al primo, azzerato dal primo processo. L’accusa tende a dimostrare che Trotskij siglò un accordo con la gerarchia nazista e che gli accusati agivano in accordo con lo spionaggio tedesco. Uno di loro, forse per originalità, era una spia giapponese. Tutti gli accusati (grande intuizione di Stalin) avevano compiuto, al contrario del primo processo, gravi sabotaggi. Tra deragliamenti di treni e manomissioni industriali, i vecchi rivoluzionari sarebbero diventati, in pochi mesi, gli ispiratori futuri di Tom Cruise nella celeberrima saga "Mission Impossible". Tredici degli accusati furono condannati a morte. Stalin aveva definitivamente polverizzato qualsiasi etica e l’intera storia rivoluzionaria.

La commissione Dewey
Trotskij, travolto dalle menzogne, spinse alla formazione di una commissione d'inchiesta diretta da Dewey. Il risultato, dopo numerose udienze, fu inequivocabile: non colpevole!
Nella contro-inchiesta venne dimostrato, senza possibilità di smentita, che Sedov non poteva essere a Copenhagen alla data in cui Holzman sosteneva lo avesse accompagnato da Trotskij. Dimostrò quindi che Holzman non si era recato a Copenhagen e che non aveva dunque potuto incontrare Trotskij, nè riceverne presunte direttive terrorsitiche. La riprova viene dal paradosso che la demolizione dell’Hotel Bristol (in cui gli stalinisti sostenevano che Holzman avesse incontrato Sedov) era avvenuta nel 1917 (difficile incontrare qualcuno in una hall di un albergo demolito ben 15 anni prima). Allo stesso modo, basandosi non solo sulle testimonianze ma anche sulla documentazione ufficiale proveniente dalle autorità francesi, la commissione dimostrò l'impossibilità dell'incontro che Trotskij avrebbe avuto, sempre secondo le infallibili confessioni di Mosca, con il giornalista sovietico Romm al Bois de Boulogne: anche qui si dimostra come Trotskij (già in esilio controllato) non poteva essersi recato a Parigi. Assieme dunque all'incontro con Romm, spariscono anche le "istruzioni terroristiche" che egli avrebbe consegnato perchè le trasmettesse a Radek. Inoltre venne smentita anche la possibilità stessa del viaggio aereo di Pjatakov da Berlino ad Oslo nel dicembre del 1935, mostrando come le confessioni di quest'ultimo fossero totalmente inventate, nonostante gli sforzi dei lacchè di Stalin per riattoparle. Con l'impossibilità di questo viaggio caddero anche le pretese confidenziali di Trotskij sui rapporti con i nazisti, nonchè l'organizzazione da parte dei nazisti del viaggio di Pjatakov.
La determinazione della commissione Dewey ebbe i suoi effetti sino a prima dell'implosione dello stalinismo. Se nel 1988 in URSS rivoluzionari come Bucharin, Rykov, Rakosvskij e altre vittime dei processi di Mosca sono stati riabilitati, è merito anche di Dewey e delle sue inchieste.
Stalin da allora in poi preferì assassinare in segreto i suoi uomini ed annunciare solo quando voleva, come un novello Tomás de Torquemada, la confessione.
Perché i rivoluzionari confessarono
Si tratta di una domanda spinosa, in cui si sono riversate molteplici risposte tra cui quella proposta da Arthur Koestler nel libro "Mezzanotte nel secolo", scritto nel 1939, in cui Rubachov, uno degli imputati al processo, ricorda fortemente Bucharin: i metodi violenti, dunque, si aggiungono all´intimidazione psicologica.
Nel 1936, poco dopo il primo processo, Leon Sedov scrisse il Libro rosso sul processo di Mosca, piccola pubblicazione diffusa allora dal movimento trotskista francese. Sedov scrive: "No, sul banco degli imputati c´erano soltanto le ombre dello Smirnov della guerra civile o dello Zinovev dei primi anni dell´Internazionale Comunista. Sui banchi degli imputati c´erano uomini infranti, schiacciati, finiti. Prima di ucciderli fisicamente, Stalin li aveva spezzati moralmente". Dopo aver dimostrato come Stalin avesse raggiunto i propri scopi "con prudenza, progressivamente, sospingendo la gente gradatamente, sempre più in basso", continua: "Per questo è superficiale paragonare il comportamento degli imputati di Mosca a quello tenuto di fronte ai carnefici fascisti da alcuni coraggiosi militanti. Questi non erano frustrati da un decennio di predominio stalinista; non erano isolati come le vittime di Stalin, sentivano dietro di sé il sostegno del proletariato mondiale". In più, sempre Sedov, fa notare che solo i militanti che hanno "confessato" hanno avuto diritto al processo; gli altri, la maggioranza, sono stati fucilati.
Trotskij, dopo il secondo processo, nel 1937, scrisse "I Crimini di Stalin", in cui dà una spiegazione dei due processi avvenuti e ne prospetta un altro: "Gli ingenui domandano: come fa Stalin a non avere paura che le vittime denuncino il falso in udienza? Un rischio del genere è del tutto insignificante. La maggior parte degli imputati tremano non solo per sé, ma anche per i propri familiari. Non è facile decidersi a sfruttare l´udienza per la denuncia se si ha una moglie, un figlio, una figlia, nelle mani della GPU. Le confessioni "spontanee" di ogni imputato sono la semplice prosecuzione delle sue abiure precedenti. Come convincere il pubblico e l´umanità intera che per dieci anni non si è fatto altro che calunniare se stessi?".

Note:
1. ^ “Commissariato del Popolo per gli Affari Interni”, ovvero la Polizia Segreta sovietica
2. ^ Krivitiskij - op. cit., pp. 218-225
3. ^ A. Orlov - Secret History of Stalin's Crimes, pp. 112-118
4.
^ P. Broue - La Rivoluzione perduta, pp. 797
5. ^ A. Orlov - Secret History, pp. 137
6. ^ A. Vaksberg - Literaturnja Gazeta , 27 gennnaio 1988
7. ^ Dubinskij-Muchadze - Ordzonikdze, pp. 6
8. ^ J.J. Marie - Stalin, pp. 180
9. ^ Krivitiskij - op. cit., pp. 196
10. ^ L. Nikulin Tuchaceveskij - Oktjabr n°5 1963, pp. 147
11. ^ Krivitiskij - op. cit., pp. 228




A cura di Eugenio Gemmo, Direzione Nazionale – Partito  Comunista dei Lavoratori
Revisione: Simone Raul Luraghi

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